PLATONE

 

Il Sofista

 

(Σοφιστής)

 

STRANIERO - Prendiamo dunque in considerazione l’opinione (δόξα) e il discorso (λόγος). Se ragioniamo bene, dovrebbe chiarirsi, come in un calcolo esatto, la nostra questione: se, cioè, sull’una o sull’altro intervenga il non-essere (τὸ μὴ ὂν), o se, invece, siano entrambi sempre assolutamente veri e non ammettano di conseguenza, né l’uno né l’altro, il falso e l’errore.
TEETETO - L’impostazione è corretta (’Ορθῶς).
STRANIERO - E allora prendiamo in esame i nomi (ὂνοματα) secondo lo stesso schema argomentativo che abbiamo usato con i generi e con le lettere dell’alfabeto. Così si presenta, in fondo, la questione della nostra ricerca.
TEETETO - Sì, ma come si pone a proposito dei nomi, specificatamente?
STRANIERO - Si pone formulando le tre ipotesi già collaudate: che tutti i nomi entrino in rapporti reciproci; che nessun nome abbia alcun rapporto con nessun nome; che il rapporto reciproco sia possibile per alcuni nomi, ma non per altri.
TEETETO - A me pare evidente la terza ipotesi.
STRANIERO - Forse vuoi dire questo: alcuni nomi, pronunciati in sequenza, danno significato, e perciò sono reciprocamente relati; altri, nonostante la sequenza, non danno significato, e perciò sono reciprocamente del tutto irrelati.
TEETETO - Non è poi tanto chiaro.
STRANIERO. No? Io pensavo che tu avessi afferrato e che fossi d’accordo. Ascolta: si danno due specie di segni fonici significanti, in relazione ad un signficato, cioè all’idea (ἔστι γὰρ ἡμῖν που τῶν τῇ φονῇ περὶ τὴν οὐσίαν δηλωμάτων διττὸν γένος).  
TEETETO - Come?
STRANIERO - Una è la specie dei nomi (ὄνομα), l’altra quella dei verbi ().
TEETETO - Spiegami bene che cosa sono gli uni e che cosa sono gli altri, per favore
STRANIERO -Una specie ha come significato le azioni, e noi la chiamiamo con il termine «verbo».
TEETETO - Sì.
STRANIERO - L’altra è quella dei segni fonici che indicano coloro che compiono quelle azioni: è la specie che indichiamo col termine «nome».
TEETETO - Ora è chiaro.
STRANIERO - Orbene: se noi pronunciamo una sequenza continua composta di soli nomi, non potrà mai nascere un discorso; lo stesso, d’altra parte, se pronunciamo una sequenza di verbi senza alcun nome.
TEETETO - Mica l’ho capita questa.
STRANIERO - È chiaro che, quando poco fa ti dicevi d’accordo, stavi pensando ad altro, perché io volevo dire appunto questo, che siffatte sequenze, sia di nomi che di verbi, non danno un discorso.
TEETETO - Ma in che senso?
STRANIERO -Prendi, per esempio, «cammina» «corre» «dorme», e gli altri verbi quanti significano un azione. Se uno li pronuncia in sequenza continua, non per questo a costruito un discorso.
TEETETO - Certo.
STRANIERO - E così, se si dice «leone» «cerco» «cavallo», e quanti nomi si danno per chi compie tali azioni, ebbene, anche da una sequenza come questa, mica salta fuori un discorso. Ciò significa che, nell’un caso come nell’altro, questi segni fonici non possono significare né azione né mancanza di azione, né l’essere di un essere o di un non-essere che sia, se prima non si abbia un processo di commistione e di combinazione tra nomi e verbi. Solo allora si compone e nasce il discorso, quando si verifica la prima e la più semplice combinazione, che costituisce il più semplice dei discorsi.
TEETETO - Spiegati meglio, per favore.
STRANIERO - Ti faccio un esempio: se uno dice «l’uomo impara», non ammetti anche tu che questo sia un discorso, sia pure il più piccolo e il più semplice?
TEETETO - Certo.
STRANIERO - E infatti, così strutturato, esso dà indicazioni sulle cose che sono, o che divengono, o già accadute o che accadranno (περὶ τῶν ὄντων ἢ γιγνομένων ἢ γεγονότων ἢ μελλόντων), e non nomina solo, ma porta a compimento qualcosa intrecciando i verbi con i nomi (καὶ οὐκ ὀνομάζει μόνον ἀλλά τι περαίνει, συμπλέκων τὰ ῥήματα τοῖϛ ὀνόμασι). È per questo che, se uno dice «l’uomo impara», noi riteniamo che egli non si limiti a denominare, o a pronunciare una sequenza di parole, ma che effettivamente dica qualcosa, e ciò per mezzo di questa combinazione di nomi e di verbi che chiamiamo discorso.
TEETETO - Giusto.

STRANIERO - E pertanto, come per i generi delle cose abbiamo visto che alcuni si adattano reciprocamente e altri no, così dobbiamo dire dei segni fonici, dei quali alcuni non si adattano e altri sì: ed è da questi ultimi che si compone il discorso.
TEETETO - Senza dubbio.
STRANIERO - C’è però da fare una piccola aggiunta.
TEETETO - Quale?
STRANIERO - Un discorso, quando sussiste, deve, di necessità, essere un discorso di qualche cosa, ed è impossibile che non lo sia.
TEETETO - È così.
STRANIERO - E se è così, ogni discorso deve avere una sua qualità determinata.
TEETETO - Come no?
STRANIERO - A questo punto cerchiamo di stare bene attenti a quel che diciamo.
TEETETO - D’accordo.
STRANIERO - Allora: io ti dico una proposizione connettendo una cosa ed un’azione per mezzo rispettivamente di un nome e di un verbo. Tu dovrai dirmi a chi si riferisce questa proposizione.
TEETETO - Farò come potrò.
STRANIERO - La proposizione è questa: «Teeteto è seduto». Ti pare troppo lungo?
TEETETO - No, no; va bene.
STRANIERO - A te, ora: di chi e a proposito di che cosa è detta questa proposizione?
TEETETO - Ma è chiaro che si riferisce a me e a qualcosa che mi riguarda.
STRANIERO - E ora senti questa.
TEETETO - Dì pure.
STRANIERO - «Teeteto, con cui sto ora parlando, vola».
TEETETO - Anche questa non si potrebbe dire se non di me e di ciò che mi riguarda.
STRANIERO - Ma noi abbiamo detto che ogni discorso deve avere una sua determinata qualità.
TEETETO - Sì.
STRANIERO - Dunque dobbiamo dire che ciascuna delle due proposizioni avrà una sua qualità particolare.
TEETETO - Sicuro: una è falsa e l’altra è vera.
STRANIERO - Vera è quella che dice su di te le cose che sono come sono (Λέγει δὲ αὐτῶν ὁ μὲν ἀληθὴς τὰ ὄντα ὡς ἔστιν περὶ σοῦ).
TEETETO - Certo.
STRANIERO  Falsa, quella che dice di te come diverse da quelle che sono (ʽΟ δὲ δὴ ψευδὴς ἕτερα τῶν ὄντων).
TEETETO - Sì.
STRANIERO - Quest’ultima dice perciò cose che non sono, e le dice come se fossero.
TEETETO - Così, pressapoco.
STRANIERO - Dunque afferma cose che sono, ma diverse da quelle che sono in relazione a te. Abbiamo infatti detto che molte cose sono e molte non sono, in relazione ad ogni singola cosa.
TEETETO - Certamente.
STRANIERO - Ora, l’ultima delle due proposizioni che ho pronunciato su di te, stando alla definizione che abbiamo dato del discorso, è necessariamente una delle più brevi possibili.
TEETETO - Sì, lo abbiamo appena ammesso.
STRANIERO - Bene; e oltre a ciò deve riferirsi a qualche cosa.
TEETETO - Sì.
STRANIERO - E se non si riferisce a te, neppure si riferirà a nessun altro.
TEETETO - Come potrebbe infatti?
STRANIERO - E se a nessuno si riferisce, non sarà neppure un discorso, per nulla: abbiamo infatti dimostrato impossibile che sia discorso una proposizione che non si riferisce ad alcuna cosa.
TEETETO - Giustissimo.
STRANIERO - A questo punti le cose dette sul tuo conto, dette a significare il diverso nei tuoi confronti come se fosse identico, e a significare ciò non è rispetto a te, come se fosse, pur essendo strutturate in siffatte combinazioni di nomi e di verbi, finiscono per dare luogo, realmente e veramente, ad un discorso falso.
TEETETO - Verissimo.

STRANIERO - E allora? Non dobbiamo finalmente ammettere che pensiero e opinione e immaginazione si ingerino nella nostra anima ora come errore ora come verità?
TEETETO In che senso?
STRANIERO Stai attento; per capire meglio, dovresti cercare di cogliere che cosa sono in sé, e in che cosa differiscano tra loro queste nostre facoltà.
TEETETO È meglio che qualche chiarimento me lo dia tu.
STRANIERO Cominciamo col dire che pensiero e discorso sono la stessa cosa: la differenza sta in questo, che quello che noi chiamiamo pensiero, è un discorso che si svolge internamente, senza emissione di voce, come in un dialogo dell’anima con se stessa.
TEETETO Certamente.
STRANIERO Chiamiamo invece propriamente discorso qualla corrente fonica che, partendo dall’anima, viene emessa attraverso la bocca.
TEETETO Vero.
STRANIERO Ci sono però altre cose da considerare nel discorso...
TEETETO Quali?
STRANIERO ...per esempio, affermazione e negazione.
TEETETO Sicuro.
STRANIERO Bene. Quando una di queste a luogo nell’anima in forma di pensiero e in silenzio, la chiami altrimenti che opinione?
TEETETO No certo.
STRANIERO Però quando si dia opinione non per sé stessa, ma perché l’anima è affetta da una sensazione, conosci modo più corretto per designarla che immaginazione?
TEETETO No.
STRANIERO Allora ricapitoliamo: abbiamo detto che il discorso può essere vero o falso; orbene, se il pensiero è dialogo (e perciò discorso) della anima con se stessa; se l’opinione è il compiersi, nell’affermazione e nella negazione, del pensiero (e perciò discorso); se ciò per cui diciamo “immagino”, è mescolanza di sensazione e opinione (e perciò ancora discorso), ne consegue necessariamente che di queste nostre facoltà, che risultano tutte congeneri al discorso, talune e talvolta siano false.
TEETETO Certamente.
STRANIERO Ti rendi conto? Abbiamo trovato l’opinione falsa e il discorso falso prima di quanto ci aspettassimo. Eppure poco fa si temeva che con questa ricerca ci si imbarcasse in un’impresa disperata.
TEETETO Me ne rendo perfettamente conto.


PLATONE, Il sofista, trad. it. di M. Vitali, Bompiani, Milano 1992, pp.71-76

 

Salvator Rosa, Democrito e Protagora (1663-64), olio su tela, 185 × 128 cm
Salvator Rosa, Democrito e Protagora (1663-64), olio su tela, 185 × 128 cm