Averroè


(Ibn Rushd)

 

(1126-1198)

 

IL TRATTATO DECISIVO 

sull'accordo della religione con la filosofia

 

(Fasl al-Maqâl fî-mâ bayna al-Hikma wa ash-Sharî‘a min al-Ittisâl)

 

 

Ogni attività filosofica altro non è che speculazione sugli esseri viventi, e riflessione su come, attraverso la considerazione che sono creati, si pervenga a dimostrare il creatore: infatti, gli esseri esistenti sono prodotti, per cui dimostrano di avere un produttore. Tale conoscenza relativa alla produzione delle cose, tanto più è completa quanto più consente una conoscenza completa di Colui che le ha prodotte. La Legge religiosa autorizza, e anzi stimola, la riflessione su ciò che esiste, per cui è evidente che l’attività indicata col nome (di filosofia) è considerata necessaria dalla Legge religiosa o, per lo meno, ne è autorizzata.

Che la Legge religiosa chiami a un’indagine intellettuale sugli esseri esistenti e richieda (di pervenire) a una conoscenza su di essi, appare chiaro da parecchi versetti del Libro di Dio Benedetto ed Eccelso, tra i quali per esempio il seguente: «Riflettete, o voi che avete occhi a guardare!» [...] «E così mostrammo ad Abramo il regno dei cieli e della terra perché fosse di quei che solidamente son convinti» [...] «Ma non guardano dunque gli uomini al cammello, come fu creato, e al cielo, come fu innalzato?» [...].

E non ha senso che qualcuno obietti che lo studio condotto secondo il ragionamento razionale sarebbe un’innovazione biasimevole poiché non se ne trova traccia presso gli antichi, visto che anche il ragionamento giuridico e le sue specie sono nati ben dopo l’epoca dei primi musulmani, eppure non li si considerano una innovazione biasimevole! [...]

Per cui, se qualcuno si è già preso la cura di indagare sul ragionamento razionale, è ovvio che ci competa, per quanto ci poniamo sulla stessa strada da lui percorsa, di far riferimento a ciò che il nostro predecessore ha già affermato, si tratti di qualcuno che professa la nostra stessa religione oppure no [...]. E l’Altissimo ha ben chiarito tutto ciò dicendo: «Chiama gli uomini alla via del Signore, con saggi ammonimenti e buoni, e discuti con loro nel modo migliore».

Ora, dal momento che la nostra religione è vera e incita a un’attività speculativa che culmini nella conoscenza di Dio, noi musulmani non possiamo che essere fermamente convinti del fatto che la speculazione dimostrativa non può condurre a conclusioni diverse da quelle rivelate dalla religione, poiché il Vero non può contrastare col Vero, ma anzi gli si armonizza e gli porta testimonianza [...].

Ma se contrasta, si presenta la necessità di un’interpretazione allegorica delle Scritture. Interpretazione allegorica significa trasporto dell’argomentazione da un piano reale a uno metaforico – senza con ciò derogare dalle norme linguistiche arabe nell’uso della metafora –, in modo da definire qualcosa o con un sinonimo o facendo riferimento alla sua causa o al suo effetto o a qualcos’altro che gli si può porre a confronto, o insomma a tutte quelle particolarità che sono reperibili nei vari tipi di discorso metaforico [...].

In tal modo, infatti, si accresce la certezza di coloro che si applicano ed esercitano l’esegesi, prefiggendosi lo scopo di conciliare l’intelletto e la tradizione rivelata.

 

 

Tr. it. a cura di M. Campanini, BUR, Milano 2006, pp. 45-63.