Arthur Schopenhauer

 

Die Welt als Wille

und Vorstellung

(1819)

 

LIBRO PRIMO

 

Il mondo come rappresentazione

 

 

PRIMA CONSIDERAZIONE

 

La rappresentazione soggetta al principio di ragione:

l’oggetto dell’esperienza e della scienza

 

 

«Il mondo è la mia rappresentazione (Die Welt ist meine Vorstellung)»: è questa una verità che vale in rapporto ad ogni essere vivente e conoscente, sebbene l’uomo soltanto possa tradurla nella conoscenza riflessa, astratta; e se ciò egli fa realmente, ecco che è cominciata in lui la riflessione filosofica. Allora si fa per lui chiaro e certo che egli non conosce né il sole né la terra, ma sempre e solo un occhio che vede un sole e una mano che sente una terra; che il mondo che lo circonda esiste solo come rappresentazione, cioè sempre e solo in rapporto a un altro, al portatore della rappresentazione, che è egli stesso. Se dunque qualche verità può essere espressa a priori, è proprio questa, giacché essa è l’enunciazione di quella forma di ogni esperienza possibile e immaginabile, che è più generale di tutte le altre, come tempo, spazio e causalità; tutte queste, infatti, presuppongono appunto già quella, e se ciascuna di queste forme, che noi abbiamo riconosciute come altrettante configurazioni particolari del principio di ragione, vale solo per una specifica classe di rappresentazioni, per contro la divisione in soggetto e oggetto è la forma comune di tutte quelle classi, è quella forma nella quale soltanto una rappresentazione, di qualunque specie sia, astratta o intuitiva, pura o empirica, è in genere possibile e pensabile. Nessuna verità dunque è più certa, più indipendente da tutte le altre e meno bisognosa di dimostrazione di questa: che tutto ciò che esiste per la conoscenza, quindi tutto il nostro mondo, è soltanto oggetto in rapporto al soggetto, intuizione dell’intuente, in una parola: rappresentazione. Naturalmente ciò vale, come per il presente, così anche per ogni passato e ogni futuro, per ciò che è lontanissimo come per ciò che è vicino: giacché vale per il tempo e lo spazio stessi, in cui soltanto tutto ciò si distingue. Tutto quello che in qualche modo appartiene e può appartenere al mondo è inevitabilmente affetto da questo suo essere condizionato dal soggetto ed esiste solo per il soggetto. Il mondo è rappresentazione.

Questa verità non è affatto nuova. Si trovava già nelle considerazioni scettiche da cui mosse Cartesio. Ma Berkeley fu il primo che la enunciò decisamente: egli si è in tal modo acquistato un merito immortale verso la filosofia, benché il resto delle sue teorie non regga. Il primo errore di Kant fu di aver trascurato questo principio, come è spiegato nell’Appendice. Quanto per tempo invece questa fondamentale verità sia stata riconosciuta dai saggi dell’India, costituendo essa il principio fondamentale della filosofia vedantica attribuita a Vyasa, è attestato da W. Jones, nell’ultimo dei suoi lavori: On the philosophy of the Asiatics; Asiatic Researches, vol. IV, p. 164: The fundamental tenet of the Vedanta school consisted not in denying the existence of matter, that is of solidity, impenetrability, and extended figure (to deny which would be lunacy), but in correcting the popular notion of it, and in contending that it has no essence independent of mental perception; that existence and perceptibility are convertible terms. Queste parole esprimono sufficientemente il coesistere della realtà empirica con l’idealità trascendentale.

 

 

SCHOPENHAUER, Arthur, Die Welt als Wille und Vorstellung, trad. it. a cura di Sossio Giametta Il mondo come volontà e rappresentazione, BUR, Milano 2003 (2002)