Augusto del Noce


 

IL CONCETTO DI DEMOCRAZIA

E IL PRINCIPIO DELLE «ÉLITES»

 

 

 

Nel suo libro, così notevole sotto molti aspetti, Essenza e attualità del Liberalismo(Torino, Utet), Filippo Burzio definisce in questa formula il rapporto tra l'aspirazione democratica e la realtà delle élites: le élites, prima si autocostituiscono, e poi si propongono(nei regimi liberali-democratici) oppure si impongono(nei regimi totalitari) alle masse.

 

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Quando si pensa che democrazia voglia significare un governo diretto che il popolo farebbe di se stesso, si dice non soltanto una cosa in sé impossibile (come il Burzio ha ben fatto rilevare), ma nelle sue implicanze estremamente pericolosa.

Se il popolo infatti ha da governarsi da sé sorge subito la questione: è maturo per questo autogoverno? e della propria maturità non può decidere il soggetto stesso; dev'essere un altro. Così fatta la questione della maturità, il popolo non apparirà mai maturo; e si comincerà col restringere la categoria dei maturi, finché, per successive restrizioni, si arriverà alla dittatura. Che sempre si darà come educatrice, come preparante cioè le condizioni per questo futuro autogoverno diretto; perciò come provvisoria. Però storicamente non si e mai dato il caso di una dittatura che abbia spontaneamente riconosciuto esaurito il suo compito e aperto la porta alla democrazia. Fatto storico che e insieme fatto logico, e perciò non può non ripetersi sempre necessariamente; perché in realtà l'attività della dittatura è diseducatrice, e prepara non già una maggiore ma sempre minore maturità del popolo. Perciò l'autogoverno diretto del popolo non e mai una realtà, ma viene sempre proposto come un ideale, sempre cioè viene proiettato net futuro; e copre di regola una realtà ben diversa.

Si vogliono le prove storiche di questo? Non c'è che da osservare ad esempio il processo storico che va dal primo teorico della democrazia, Rousseau, alla dittatura del rousseauiano Robespierre. Ma perché cercare gli esempi nel passato? Consideriamo oggi le discussioni sul problema istituzionale. Qual è l'argomento con cui i partiti che più tengono all'autogoverno diretto combattono la precedenza del referendum alla costituente? Non altro che questo, né diverso può essere: il popolo non è maturo per una decisione così importante, e questa maturità è riservata ai partiti. Al che i sostenitori del referendum oppongono giustamente che con ciò si ha l'instaurazione di una specie di dittatura dei partiti sul popolo. E lo stesso si può osservare nelle discussioni sull'obbligatorietà del voto.

D'altra parte una simile democrazia diretta non significherebbe una strana eccezione a quel principio dell'individualità creatrice valido per ogni altra attività spirituale? Il governo esercitato direttamente da tutto il popolo non è l'equivalente politico del mito romantico, ormai abbandonato, della poesia popolare?

Dunque non posso non concordare col Burzio nella sua definizione: si ha regime democratico quando le élites si propongono e non si impongono alle masse.

E cioè: l'élite democratica dissocia valore da forza; ciò che trasforma una determinata élite politica in élite di governo è il consenso; l'élite totalitaria, invece, associa valore e forza (la persuasione del suo valore gli sembra giustificazione sufficiente del suo imporsi anche con la forza alle masse).

Ma quale è ora il fondamento ideale di questa dissociazione democratica di valore e di forza? Mi limiterò qui ad esporre in forma nucleare il risultato di molte mie riflessioni ripromettendomi di svolgerle con maggior ampiezza in articoli successivi. Credo per definizione di democrazia di poter addurre la seguente: regime in cui viene reso impossibile a ognuno l'agire su altri se non in termini di persuasione; ossia, definizione equivalente, regime in cui ogni soggetto viene considerato come soggetto di persuasione, cioè come persona.

I vantaggi di queste definizioni su quelle correnti mi sembrano stare non soltanto nell'accettazione implicita del principio dell'élite (che la democrazia non esclude limitandosi a chiedere che siano élites consentite), ma nell'eliminazione del pericolo del dispotismo democratico, come prepotere della massa sull'individuo, o priorità accordata alla quantità sulla qualità. Ciò che caratterizza la democrazia non è il governo della maggioranza (si potrebbe anzi mostrare come un almeno implicito consenso della maggioranza lo abbiano anche i regimi totalitari) ma il rispetto del singolo. E anzi proprio questa esigenza fondamentale del rispetto del singolo che fonda la necessità della democrazia.

Conseguenze immediate del principio indicato sono le seguenti: a) il valore ultimo a cui un regime democratico è ordinato non è il vantaggio materiale, di nazione e di classe, ma l'idea di non violenza (o di persuasione); b) la politica democratica subordina la considerazione dei fini a quella dei metodi con cui essi possono venire realizzati: cioè il valore di ogni singola proposta è subordinato al valore del suo mezzo di realizzazione (è perciò che l'élite si propone e non si impone al consenso).

La persona di cui si parla non è però l'idea astratta di persona, ma ogni singola persona. Per cui può dirsi caratteristica essenziale della democrazia una concezione pluricentrica: cioè, in regime democratico ogni singolo deve potersi considerare anche come fine e nessuno come unico fine dell'intera vita sociale. È a questo momento, a mio credere, che sul problema politico si inserisce il problema sociale; dei cui principii essenziali tratterò in altro articolo dedicato all'idea di uguaglianza.

 

«Il popolo nuovo», a. I, n. 123, giovedì 20 - venerdì 21 settembre 1945, pp. 1-2; ora in Scritti politici 1930-50, Rubbettino 2001.

 

Dipinto di Vittorio Bustaffa