BENEDETTO CROCE

 

Estetica

 

come scienza dell'espressione

e linguistica generale

 

(1902)

 

 

Capitolo I

 

L'INTUIZIONE E L'ESPRESSIONE

 

La conoscenza ha due forme: è o conoscenza intuitiva o conoscenza logica; conoscenza per la fantasia o conoscenza per l'intelletto; conoscenza dell'individuale o conoscenza dell'universale; delle cose singole ovvero delle loro relazioni; è, insomma, o produttrice d'immagini o produttrice di concetti.

Continuamente si fa appello, nella vita ordinaria, alla conoscenza intuitiva. Si dice che di certe verità non si possono dare definizioni; che non si dimostrano per sillogismi; che conviene apprenderle intuitivamente. Il politico rimprovera l'astratto ragionatore, che non ha l'intuizione viva delle condizioni di fatto; il pedagogista batte sulla necessità di svolgere anzitutto nell'educando la facoltà intuitiva; il critico si tiene a onore di mettere da parte, innanzi a un'opera artistica, le teorie e le astrazioni e di giudicarla intuendola direttamente; l'uomo pratico, infine, professa di vivere d'intuizioni più che di ragionamenti.

Ma a questo ampio riconoscimento che la conoscenza intuitiva riceve nella vita ordinaria, non fa riscontro un pari e adeguato riconoscimento nel campo della teoria e della filosofia. Della conoscenza intellettiva c'è una scienza antichissima e ammessa indiscussamente da tutti, la logica; ma una scienza della conoscenza intuitiva è appena ammessa, e timidamente, da pochi. La conoscenza logica si è fatta la parte del leone; e, quando addirittura non divora la sua compagna, le concede appena un umile posticino di ancella o di portinaia - Che cosa è mai la conoscenza intuitiva senza il lume della intellettiva? E un servitore senza padrone; e, se al padrone occorre il servitore, è ben più necessario il primo al secondo, per campare la vita. L'intuizione è cieca; l'intelletto le presta gli occhi.

Ora, il primo punto che bisogna fissare bene in mente è che la conoscenza intuitiva non ha bisogno di padroni; non ha necessità di appoggiarsi ad alcuno; non deve chiedere in prestito gli occhi altrui perché ne ha in fronte di suoi propri, validissimi. E se è indubitabile che in molte intuizioni si possono trovare mescolati concetti, in altre non è traccia di simile miscuglio; il che prova che esso non è necessario. L'impressione di un chiaro di luna, ritratta da un pittore; il contorno di un paese, delineato da un cartografo; un motivo musicale, tenero o energico; le parole di una lirica sospirosa, o quelle con le quali chiediamo, e comandiamo e ci lamentiamo nella vita ordinaria, possono ben essere tutti fatti intuitivi senza ombra di riferimenti intellettuali.
Ma checché si pensi di questi esempi, e posto anche si voglia e debba sostenere che la maggior parte delle intuizioni dell'uomo civile siano impregnate di concetti, v'è ben altro, e di più importante e conclusivo, da osservare. I concetti che si trovano misti e fusi nelle intuizioni, in quanto vi sono davvero misti e fusi, non sono più concetti, avendo perduto ogni indipendenza e autonomia. Furono già concetti, ma sono diventati, ora, semplici elementi d'intuizione.Le massime filosofiche, messe in bocca a un personaggio di tragedia o di commedia, hanno colà ufficio, non più di concetti, ma di caratteristiche di quei personaggi; allo stesso modo che il rosso in una figura dipinta non sta come il concetto del color rosso dei fisici, ma come elemento caratterizzante di quella figura. Il tutto determina la qualità delle parti.

Un’opera d’arte può essere piena di concetti filosofici, può averne, anzi, in maggior copia, e anche più profondi, di una dissertazione filosofica, la quale potrà essere, a sua volta, ricca e riboccante di descrizioni e intuizioni. Ma nonostante tutti quei concetti, il risultato dell’opera d’arte è un’intuizione; e, nonostante tutte quelle intuizioni, il risultato della dissertazione filosofica è un concetto. I Promessi Sposi contengono copiose osservazioni e distinzioni di etica; ma non per questo vengono a perdere, nel loro insieme, il carattere di semplice racconto o d’intuizione. Parimente, gli aneddoti e le effusioni satiriche, che possono trovarsi nei libri di un filosofo come lo Schopenhauer, non tolgono a quei libri il carattere di trattazioni intellettive. Nel risultato, nell’effetto diverso a cui ciascuna mira e che determina e asservisce tutte le singole parti, non già in queste singole parti staccate e considerate astrattamente per sé, sta la differenza tra un’opera di scienza e un’opera d’arte, cioè tra un atto intellettivo e un atto intuitivo.

Senonché, per avere un’idea vera ed esatta dell’intuizione non basta riconoscerla come indipendente dal concetto. Tra coloro che così la riconoscono, o che almeno non la fanno esplicitamente dipendente dall’intellezione, appare un altro errore, il quale offusca e confonde l’indole propria di essa. Per intuizione s’intende frequentemente la percezione, ossia la conoscenza della realtà accaduta, l’apprensione di qualcosa come reale.

Di certo, la percezione è intuizione: le percezioni della stanza nella quale scrivo, del calamaio e della carta che ho innanzi, della penna di cui mi servo, degli oggetti che tocco e adopero come strumenti della mia persona, la quale, se scrive, dunque esiste; sono tutte intuizioni. Ma è parimente intuizione l’immagine, che ora mi passa pel capo, di un me che scrive in un’altra stanza, in un’altra città, con carta, penna e calamaio diversi. Il che vuol dire che la distinzione tra realtà e non realtà è estranea all’indole propria dell’intuizione, e secondaria. Supponendo uno spirito umano che intuisca per la prima volta, sembra ch’egli non possa intuire se non realtà effettiva ed abbia perciò soltanto intuizioni del reale. Ma poiché la coscienza della realtà si fonda sulla distinzione tra immagini reali e immagini irreali, e tale distinzione nel primo momento non ha luogo, quelle, in verità, non saranno intuizioni né del reale né dell’irreale, non percezioni ma pure intuizioni. Dove tutto è reale, niente è reale. Una certa idea, assai vaga e ben da lontano approssimativa, di questo stato ingenuo può darci il fanciullo, con la sua difficoltà a discernere il reale dal finto, la storia dalla favola, che per lui fanno tutt’uno. L’intuizione è l’unità indifferenziata della percezione del reale e della semplice immagine del possibile. Nell’intuizione noi non ci contrapponiamo come esseri empirici alla realtà esterna, ma oggettiviamo senz’altro le nostre impressioni quali che siano.

Sembrerebbe perciò che si appressino di più al vero coloro i quali considerano l'intuizione come la sensazione formata e ordinata semplicemente secondo le categorie dello spazio e del tempo. Spazio e tempo (essi dicono) sono le forme dell'intuizione ; intuire è porre nello spazio e nella serie temporale. L'attività intuitiva consisterebbe quindi in questa doppia e concorrente funzione della spazialità e della temporalità. Senonché, è da ripetere per queste due categorie ciò che si è detto delle distinzioni intellettuali, che pur si trovano fuse nell'intuizione. Noi abbiamo intuizioni senza spazio e senza tempo: una tinta di cielo e ma tinta di sentimento, un «ahi!» di dolore e uno slancio di volontà oggettivati nella coscienza, sono intuizioni che possediamo, e dove nulla è formato nello spazio e nel tempo. E in alcune intuizioni si può ritrovare la spazialità e non la temporalità, in altre questa e non quella; ma, anche dove si ritrovano tutte due, l'appercepirle è una riflessione posteriore: esse possono fondersi nell'intuizione allo stesso modo che tutti gli altri elementi di questa : vi staranno cioè materialiter e non formaliter, come ingredienti e non come ordinamento. Chi, senza un atto di riflessione che interrompa per un momento la contemplazione, s'accorge dello spazio innanzi a un ritratto o magari il un paesaggio? Chi, senza un simile atto riflessivo e interruttivo, s'accorge della serie temporale innanzi a un racconto o a un pezzo musicale? Ciò che s'intuisce, in un'opera d'arte, non è spazio o tempo, ma carattere o fisionomia individuale. Del resto, parecchi tentativi che si notano nella filosofia moderna, accennano a conformarsi alla veduta qui esposta. Spazio e tempo, anziché funzioni semplicissime e primitive, si vanno rivelando come costruzioni intellettuali molto complicate. E, d'altro canto, anche in alcuni di coloro che non rifiutano del tutto allo spazio e al tempo la qualità di formanti o di categorie e funzioni, si nota lo sforzo di unificarli e intenderli in modo diverso dal concetto che si ha ordinariamente di esse categorie. Vi è chi riduce l'intuizione all'unica categoria della spazialità, sostenendo che anche il tempo non s'intuisca se non spazialmente. Altri abbandonano come filosoficamente non necessarie le tre dimensioni dello spazio, e concepiscono la funzione della spazialità come vuota di ogni particolare determinazione spaziale. E che cosa sarebbe mai siffatta funzione spaziale, semplice ordinamento che ordinerebbe perfino il tempo? Non è essa forse un residuo di critiche e di negazioni, dal quale si ricava soltanto l'esigenza di porre un'attività genericamente intuitiva? E non è, quest'ultima, veramente determinata, allorché le si attribuisce un'unica categoria o funzione, non spazialeggiante né temporalizzante ma caratterizzante? o meglio, allorché viene concepita essa stessa come categoria o funzione, che ci dà la conoscenza delle cose nella loro concretezza e individualità?

Liberata, in tal modo, la conoscenza intuitiva da qualsiasi soggezione intellettualistica e da ogni aggiunta posteriore ed estranea, noi dobbiamo chiarirla e determinarne i confini da un altro lato e contro una diversa invasione e confusione. Dall'altro lato, di qua dal limite inferiore, è la sensazione, è la materia informe che lo spirito non può mai afferrare in sé stessa, in quanto mera materia, e che possiede soltanto con la forma e nella forma, ma di cui postula il concetto come, appunto, di un limite. La materia, nella sua astrazione, è meccanismo, è passività, è ciò che lo spirito umano subisce, ma non produce. Senza di essa non è possibile alcuna conoscenza e attività umana ; ma la mera materia ci dà l'animalità, ciò che nell'uomo è di brutale e d' impulsivo, non il dominio spirituale, quello in cui consiste l'umanità. Quante volte ci travagliamo nello sforzo d' intuire chiaramente ciò che si agita in noi ! Intravediamo qualcosa, ma non l'abbiamo innanzi allo spirito oggettivato e formato. In quei momenti meglio ci accorgiamo della profonda differenza tra materia e forma; le quali sono non già due atti nostri, di cui l'uno stia di fronte all'altro, ma l'uno è un di fuori che ci assalta e ci trasporta, l'altro è un di dentro che tende ad assorbire quel di fuori e a farlo suo. La materia, investita e trionfata dalla forma, dà luogo alla forma concreta. È la materia, è il contenuto ciò che differenzia una nostra intuizione da un'altra: la forma è costante, ed è l'attività spirituale; la materia è mutevole, e senza di essa l'attività spirituale non uscirebbe dalla sua astrattezza per divenire attività concreta e reale, questo o quel contenuto spiiruale, questa o quella intuizione determinata.

È curioso e caratteristico della condizione dei nostri tempi che proprio questa forma, proprio l'attività dello spirito, proprio ciò eh' è noi stessi, venga facilmente ignorato o negato. E vi ha chi confonde l'attività spirituale dell'uomo con la metaforica e mitologica attività della cosiddetta natura, eh' è meccanismo, e che non somiglia all'attività umana, se non quando, come nelle favole esopiche, s'immagina che «arbores loquantur non tantum ferae» : vi ha chi asserisce di non aver mai osservato in sé tale e «miracolosa» attività ; quasi che tra il sudare e il pensare, il sentir freddo e l'energia della volontà non sia alcun divario o si tratti soltanto di differenza quantitativa. Altri, certo meno irrazionalmente, vuole invece che attività e meccanismo, specificamente distinti, si unifichino entrambi in un concetto più generale; ma, lasciando per ora di esaminare se tale unificazione suprema sia possibile e in qual senso, e ammettendo che la ricerca sia da tenere, è chiaro che unificare due concetti in un terzo significa anzitutto porre una differenza tra i due primi: e qui la differenza c'importa e ad essa diamo rilievo.

L' intuizione è stata scambiata talvolta con la sensazione bruta. Ma poiché questo scambio urta troppo perfino il comune buon senso, più di frequente si è cercato di attenuarlo o larvarlo mercé una fraseologia che pare voglia nello stesso tempo confondere e distinguere. Cosi è stato asserito che l'intuizione sia sensazione, ma non già semplice sensazione, si bene associazione di sensazioni; dove l'equivoco nasce appunto dalla parola «associazione». La quale, o s'intende come memoria, associazione mnemonica, ricordo cosciente; e in tal caso appare inconcepibile la pretesa di congiungere nella memoria elementi che non sono intuiti, distinti, posseduti in qualche modo dallo spirito e prodotti dalla coscienza: o s'intende come associazione di elementi incoscienti; e, in questo secondo caso, non si esce dalla sensazione e dalla naturalità. Che se poi, come taluni associazionisti fanno, si parla di un'associazione che non sia né memoria né flusso di sensazioni, ma associazione produttiva (formativa, costruttiva, distinguente) ; in questo caso, si concede la cosa e si nega solo

la parola. Infatti, l'associazione produttiva non è più associazione nel significato dei sensualisti, ma sintesi, cioè attività spirituale. Si chiami pure associazione la sintesi; ma con quel concetto di produttività è già posta la distinzione tra passività e attività, tra sensazione e intuizione.

Altri psicologi sono disposti a distinguere dalla sensazione qualcosa che non è più tale, ma non è ancora il concetto intellettivo: la rappresentazione o immagine. Quale differenza corre tra la loro rappresentazione o immagine, e la nostra conoscenza intuitiva? Grandissima e nessuna: anche «rappresentazione» è parola molto equivoca. Se essa s'intende come qualcosa di ritagliato e risaltante sul fondo psichico delle sensazioni, la rappresentazione è l'intuizione. Se, invece, viene concepita come sensazione complessa, si ritorna alla sensazione bruta, che non muta qualità perché ricca o povera, effettuantesi in un organismo rudimentale o in un organismo sviluppato e pieno di tracce di sensazioni passate. Né all'equivoco si rimedia col definire la rappresentazione un prodotto psichico di secondo grado, rispetto alla sensazione che sarebbe di primo. Che cosa significa, qui, secondo grado? Differenza qualitativa, formale? E, in questo caso, rappresentazione è elaborazione della sensazione, e perciò intuizione. Ovvero maggiore complessità e complicazione, differenza quantitativa e materiale? In quest'altro caso, invece, l'intuizione sarebbe di nuovo confusa con la sensazione bruta.

Eppure vi è un modo sicuro di distinguere l’intuizione vera, la vera rappresentazione, da ciò che le è inferiore: quell’atto spirituale dal fatto meccanico, passivo, naturale. Ogni vera intuizione o rappresentazione è, insieme, espressione.Ciò che non si oggettiva in una espressione non è intuizione o rappresentazione, ma sensazione e naturalità. Lo spirito non intuisce se non facendo, formando, esprimendo. Chi separa intuizione da espressione, non riesce mai più a congiungerle.

L’attività intuitiva tanto intuisce quanto esprime. Se questa proposizione suona paradossale, una delle cause di ciò è senza dubbio nell’abito di dare alla parola «espressione» un significato troppo ristretto, assegnandola alle sole espressioni che si dicono verbali; laddove esistono anche espressioni non verbali, come quelle di linee, colori, toni: tutte quante da includere nel concetto di espressione, che abbraccia perciò ogni sorta di manifestazioni dell’uomo, oratore, musico, pittore o altro che sia. E, pittorica o verbale o musicale o come altro si descriva o denomini, l’espressione, in una di queste manifestazioni, non può mancare all’intuizione, dalla quale è propriamente inscindibile. Come possiamo intuire davvero una figura geometrica, se non ne abbiamo così netta l’immagine da essere in grado di tracciarla immediatamente sulla carta o sulla lavagna? Come possiamo intuire davvero il contorno d’una regione, per esempio, dell’isola di Sicilia, se non siamo in grado di disegnarlo così come esso è in tutti i suoi meandri? A ognuno è dato sperimentare la luce che gli si fa internamente quando riesce, e solo in quel punto che riesce, a formolare a se stesso le sue impressioni e i suoi sentimenti. Sentimenti e impressioni passano allora, per virtù della parola, dall’oscura regione della psiche alla chiarezza dello spirito contemplatore. È impossibile, in questo processo conoscitivo, distinguere l’intuizione dall’espressione. L’una viene fuori con l’altra, nell’attimo stesso dell’altra, perché non sono due ma uno.

Ma la cagione principale che fa sembrare paradossale la tesi da noi affermata, è l’illusione o pregiudizio che s’intuisca della realtà più di quanto effettivamente se ne intuisce. Si ode spesso taluni asserire di avere in mente molti e importanti pensieri, ma di non riuscire a esprimerli. In verità, se li avessero davvero, li avrebbero coniati in tante belle parole sonanti, e perciò espressi. Se, nell’atto di esprimerli, quei pensieri sembrano dileguarsi o si riducono scarsi e poveri, gli è che o non esistevano o erano soltanto scarsi e poveri. Parimente si crede che noi tutti, uomini ordinari, intuiamo e immaginiamo paesi, figure, scene, come i pittori, e corpi, come gli scultori; salvo che pittori e scultori sanno dipingere e scolpire quelle immagini, e noi le portiamo dentro il nostro animo inespressi. Una Madonna di Raffaello, si crede, avrebbe potuta immaginarla chiunque; ma Raffaello è stato Raffaello per l’abilità meccanica di averla fissata sulla tela. Niente di più falso. Il mondo che intuiamo ordinariamente è poca cosa, e si traduce in piccole espressioni, le quali si fanno via via maggiori e più ampie solo con la crescente concentrazione spirituale in alcuni particolari momenti. Sono le parole interne che diciamo a noi stessi, i giudizi che esprimiamo tacitamente: «ecco un uomo, ecco un cavallo, questo pesa, questo è aspro, questo mi piace ecc. ecc.», ed è un barbaglío di luce e di colori, che pittoricamente non potrebbe avere altra sincera e propria espressione se non in un guazzabuglio, e dal quale appena si sollevano pochi tratti distintivi particolari. Ciò, e non altro, possediamo nella nostra vita ordinaria, ed è base della nostra azione ordinaria. Èl'indice di un libro; sono, come è stato detto, le etichette che abbiamo apposte alle cose e ci tengono luogo di queste: indice ed etichette (espressioni anch'esse), sufficienti ai piccoli bisogni e alle piccole azioni. Ma, di tanto in tanto, dall'indice passiamo al libro, dall'etichetta alla cosa, o dalle piccole intuizioni alle più grandi e alle grandissime ed eccelse. E il passaggio è talvolta tutt'altro che agevole. È stato osservato da coloro che hanno meglio indagato la psicologia degli artisti che, quando dal vedere con rapido sguardo una persona ci si dispone a intuirla davvero, per farle, per esempio, il ritratto, quella visione ordinaria, che sembrava così vivace e netta, si rivela come poco meno che nulla: ci si accorge di possedere, tutt'al più, qualche tratto superficiale, non bastevole neppure per un pupazzetto; la persona da ritrarre si pone innanzi i all'artista come un mondo da scoprire. E Michelangelo sentenziava che «si dipinge col cervello, non con le mani»; e Leonardo scandalizzava il priore del convento delle Grazie con lo stare giorni interi avanti al Cenacolo senza mettervi pennello, e diceva che «gl'ingegni elevati talor che manco lavorano più adoprano, cercando con la mente l'invenzione». Il pittore è pittore perché vede ciò che altri sente solo, o intravede, ma non vede. Un sorriso crediamo di vederlo, ma in realtà ne abbiamo solo qualche vago accenno, non scorgiamo tutti i tratti caratteristici da cui risulta, come, dopo averci lavorato intorno, li scorge il pittore, i che perciò può fermarlo compiutamente sulla tela. Anche del nostro più intimo amico, di colui che ci sta accanto tutti i giorni e tutte le ore, non possediamo intuitivamente se non qualche tratto appena della fisionomia, che ce lo fa distinguere dagli altri.
Meno facile è l'illusione per le espressioni musicali; perché a ognuno i parrebbe strano il dire che a un motivo, il quale è già nell'animo di chi non è compositore, il compositore aggiunga o appiccichi le note; quasi che l'intuizione del Beethoven non fosse, per esempio, la sua Nona sinfonia e la sua Nona sinfonia la sua intuizione. Ora, come colui che si fa illusioni sulla quantità delle proprie i ricchezze materiali è smentito dall'aritmetica, la quale gli dice esattamente a quanto esse ammontano; così chi s'illude sulla ricchezza dei propri pensieri e delle proprie immagini è ricondotto alla realtà, allorché è costretto ad attraversare il ponte dell'asino dell'espressione. «Numerate,» diciamo al primo: «parlate, eccovi una matita e disegnate, esprimetevi,» diremo all'altro.

Ognuno di noi, insomma, è un po' pittore, scultore, musicista, poeta, prosatore; ma quanto poco, rispetto a coloro che son chiamati così appunto pel grado elevato in cui hanno le comunissime disposizioni ed energie della natura umana; e quanto poco un pittore possiede delle intuizioni di un poeta, o di quelle anche di un altro pittore! Pure, quel poco è tutto il nostro patrimonio attuale d'intuizioni o rappresentazioni. Fuori di esse, sono soltanto impressioni, sensazioni, sentimenti, impulsi, emozioni, o come altro si chiami ciò che è ancora di qua dello spirito, non assimilato dall'uomo, postulato per comodo di esposizione, ma effettivamente inesistente, se l'esistere è anche esso un atto dello spirito.

Alle varianti verbali accennate in principio, con le quale si designa la conoscenza intuitiva, possiamo, dunque, aggiungere ancora quest'altra: la conoscenza intuitiva è la conoscenza espressiva. Indipendente e autonoma rispetto all'intellezione; indifferente alle discriminazioni posteriori di realtà e irrealtà e alle formazioni e appercezioni, anche posteriori, di spazio e tempo; - l'intuizione o rappresentazione si distingue da ciò che si sente e subisce, dall'onda o flusso sensitivo, dalla materia psichica, come forma; e questa forma, questa presa di possesso, è l'espressione. Intuire è esprimere; e nient'altro (niente di più, ma niente di meno) che esprimere.

 

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