BENEDETTO CROCE

(1866-1952)

 



Fatti e interpretazioni

 

 

da Teoria e storia della storiografia

(1915, 1917)

 

[…] sarà prudente chiedere consiglio al dubbio metodico (che riesce sempre assi utile), e volgere l'attenzione su quei fatti bruti e sconnessi, dai quali la ricerca causale asserisce di prendere le mosse, e innanzi ai quali noi, abbandonati ormai da essa e dal suo completamento, la filosofia della storia, sembra che siamo tornati. E il dubbio metodico ci suggerirà innanzitutto il pensiero: che quei fatti sono un presupposto non trovato: e ci indurrà quindi a esaminare se la prova, ci porterà, in fine, alla conclusione, che quei fatti, realmente, non esistono.

Chi, infatti, afferma la loro esistenza? Per l'appunto,lo spirito nell'atto che si accinge alla ricerca delle cause. Ma lo spirito, in quell'atto, non possiede prima i fatti bruti («d'abord, la collection des faits»), e poi ne cerca le cause («après, la recherche des causes»); sibbene, con quell'atto stesso, rende bruti i fatti, cioè li pone lui così,perché gli giova così porli. La ricerca delle cause,che si esegue nella storia, non è niente di diverso dal procedere, più volte illustrato, del naturalismo, che analizza astrattamente e classificala realtà. E analizzare astrattamente e classificare importa insieme astrattamente giudicare classificando;cioè trattare i fatti, non come atti dello spirito, consapevoli nel pensiero che li pensa, ma come fatti esterni o bruti. […]

Torniamo, dunque, con maggiore fiducia al punto di partenza, al vero punto di partenza,cioè non a quello dei fatti già disorganizzati e naturalizzati, ma a quello della mente che pensa e costruisce il fatto; risolleviamo i volti avviliti dei calunniati «fatti bruti», e vedremo risplendere sulle loro fronti la luce del pensiero. E quel vero punto di partenza ci si mostrerà, non semplice punto di partenza, ma e di partenza e di arrivo; non il primo passo nella costruzione della storia, ma tutta la storia nella sua costruzione, che è poi il suo costruirsi. […]

Perché (sarà opportuno notare di passata) la determinazione dei fatti come fatti reali bensì, ma d'ignota natura, asseriti e non compresi, è anch'essa un'illusione del naturalismo(che preannunzia così l'altra sua illusione, quella della «filosofia della storia»): nel pensiero, realtà e qualità, esistenza ed essenza, sono tutt'uno, e non si può affermare reale un fatto senza insieme conoscere qual fatto esso sia, cioè senza qualificarlo. […]

il maggiore di tutti gli storici di questa scuola [il Positivismo], Leopoldo Ranke, […] nel suo primo lavoro, protestò, confine ironia, che non avrebbe potuto mettersi sulla coscienza il grave carico, assegnato alla storia, di giudicare il passato o d'istruire il presente per l'avvenire, ma che soltanto si sentiva in grado divenir mostrando «come le cose propriamente fossero andate» (wie es eigentlich gewesen), e a questo metodo procurò attenersi in tutta la sua opera, e colse allori inconseguibili ad altri, fino al punto di scrivere, egli luterano e tale rimasto tutta la sua vita, una storia dei papi del periodo della Controriforma, accolta con favore in tutti i paesi cattolici; fino al maggior punto, egli tedesco,di scrivere di storia francese senza dispiacere ai francesi. […]

Applicando invero il più rigoroso metodo delle testimonianze, non c'è testimonianza che non possa essere messa in sospetto e infirmata, e la storia filologica conduce a negare la verità di quella storia, che voleva costruire. E se arbitrariamente e per segni estrinseci si attribuisce valore a certi testimoni,non c'è stravaganza che non debba essere accettata, perché non c'è stravaganza che non possa avere dalla sua parte autorità di uomini probi, candidi e intelligenti: col metodo filologico non v'ha modo di rigettare nemmeno i miracoli, riposanti sulle medesime attestazioni onde si tiene accertata una guerra o un trattato di pace, come dimostrò l'ora citato Lorenz, esaminando i miracoli di san Bernardo al lume della più stretta critica filologica. Per salvarsi dall'ammissione dell'inconcepibile e dalla nullificazione della storia che segue alla nullificazione delle testimonianze, non rimane se non l'appello al pensiero, che ricostruisce la storia dall'interno, ed è testimone a sé stesso, e nega ciò che è impensabile per ciò stesso che non lo pensa; ma quest'appello è dichiarazione di fallimento per la storia filologica. La quale effettivamente in tanto si sorregge più o meno come storia, in quanto ricorre a tutti i sussidi della storia propriamente detta, e contradice sé medesima; o contradice sé medesima,e pur non si sorregge se non in apparenza e per poco, col ripigliare i motivi della prammatica, della trascendenza e del positivismo. E quest'ultimo,a sua volta, percorre, con diverso ordine, le medesime vicende: perché il suo principio di una storia che spieghi causalmente i fatti, presuppone i fatti, che, in quanto fatti, sono pensati, e perciò, in certo modo, belli e spiegati.

 

Benedetto Croce, Teoria e storia della storiografia, Adelphi, Milano, 2001


Georges Braque, "Le portugais" (1911-12)
Georges Braque, "Le portugais" (1911-12)