L’ONESTÀ POLITICA

SECONDO BENEDETTO CROCE

 

 

di Martino Loiacono

 

 

L’onesta politica è spesso oggetto di aspri dibattiti pubblici da cui emerge una richiesta unanime di onestà, di probità, di affidabilità. In particolare, nell’Italia della seconda metà del '900 questa domanda si è fatta sempre più pungente culminando nella cosiddetta questione morale il cui apice è stato raggiunto nell’inchiesta Mani pulite. Anche durante la terza Repubblica la questione dell’onestà rimane di prim’ordine, tanto che, spesso, i politici tendono a paragonarsi a brav’uomini, a padri di famiglia che per la propria onestà non frodano alcun cittadino, ma svolgono la propria professione nel personale disinteresse. L’abilità di tali uomini, dunque, non concerne la vita pubblica bensì altri rami del sapere e dell’agire. Infatti, spesso si parla di tecnici (scienziati, matematici, medici...) prestati alla politica, che, grazie alla propria onestà, sono in grado di amministrare la cosa pubblica oculatamente rispetto a politici disonesti dediti alla corruzione e al malaffare.

 

Il problema dell’onestà viene affrontato da Benedetto Croce il quale pone la questione secondo termini più pratici che tengono conto del compito proprio del politico, che deve essere un uomo capace di disbrigare situazioni di natura pratica. Il politico, nella sua capacità, deve essere necessariamente onesto perché se la sua onestà venisse meno, egli non risulterebbe più capace giacché macchierebbe il suo agire concreto allontanandosi dal suo compito più proprio ovvero la mediazione tra la volizione singolare utilitaristica e la volizione universale etica. Il filosofo di Pescasseroli esemplifica il concetto dimostrando che l’abilità per un medico non sia già quella di essere un uomo onesto bensì quella di saper operare e salvare vite umane, così al politico non deve essere richiesta solamente mera onestà bensì capacità che in essa risolve e conserva l’onestà medesima.

 

Il passo seguente tratto da Etica e Politica illustra magistralmente quanto affermato:

 

 

« Un’altra manifestazione della volgare inintelligenza circa le cose della politica è la petulante richiesta che si fa della onestà nella vita politica.

 

L’ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli e prende forma nelle non cantate prose delle loro invettive e declamazioni e utopie, è quello di una sorta di areopago, composto di onest’uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio paese. Entrerebbero in quel consesso chimici, fisici, poeti, matematici, medici, padri di famiglia, e via dicendo, che avrebbero tutti per fondamentali requisiti la bontà delle intenzioni e il personale disinteresse, e, insieme con ciò, la conoscenza e l’abilità in qualche ramo dell’attività umana, che non sia peraltro la politica propriamente detta: questa invece dovrebbe, nel suo senso buono, essere la risultante di un incrocio tra l’onestà e la competenza, come si dice, tecnica.

 

Quale sorta di politica farebbe codesta accolta di onesti uomini tecnici, per fortuna non ci è dato sperimentare, perché non mai la storia ha attuato quell’ideale e nessuna voglia mostra di attuarlo. Tutt’al più, qualche volta, episodicamente, ha per breve tempo fatto salire al potere un quissimile di quelle elette compagnie, o ha messo a capo degli Stati uomini e da tutti amati e venerati per la loro probità e candidezza e ingegno scientifico e dottrina; ma subito poi li ha rovesciati, aggiungendo alle loro alte qualifiche quella, non so se del pari alta, d’inettitudine.

 

È strano (cioè, non è strano, quando si tengano presenti le spiegazioni psicologiche offerte di sopra) che laddove nessuno, quando si tratti di curare i propri malanni o sottoporsi a una operazione chirurgica, chiede un onest’uomo, e neppure un onest’uomo filosofo o scienziato, ma tutti chiedono e cercano e si procurano medici e chirurgi, onesti o disonesti che siano, purché abili in medicina e chirurgia, forniti di occhio clinico e di abilità operatorie, nelle cose della politica si chiedano, invece, non uomini politici, ma onest’uomini, forniti tutt’al più di attitudini d’altra natura.

 

« Ma che cosa è, dunque, l’onestà politica? » si domanderà. - L’onestà politica non è altro che la capacità politica: come l’onestà del medico e del chirurgo è la sua capacità di medico e di chirurgo, che non rovina e assassina la gente con la propria insipienza condita di buone intenzioni e di svariate e teoriche conoscenze.

 

« È questo soltanto? E non dovrà essere egli uomo, per ogni rispetto, incensurabile e stimabile?

 

E la politica potrà essere esercitata da uomini in altri riguardi poco pregevoli? ». Obiezione volgare, di quel tale volgo, descritto di sopra. Perché è evidente che le pecche che possa eventualmente avere un uomo fornito di capacità e genio politico, se concernono altre sfere di attività, lo tenderanno in proprio in quelle sfere, ma non già nella politica. Colà lo condanneremo scienziato ignorante, uomo vizioso, cattivo marito, cattivo padre [...]

 

[...] « Ma no, » (si continuerà obiettando), « noi non ci diamo pensiero solo di ciò, ossia della vita privata; ma di quella disonestà privata che corrompe la stessa opera politica, e fa che un uomo politicamente abile tradisca il suo partito o la sua patria; e per questo richiediamo che egli sia anche privatamente ossia integralmente onesto ». - Senonché non si riflette che un uomo dotato di genio o capacità politica si lascia corrompere in ogni altra cosa, ma non in quella, perché in quella è la sua passione, il suo amore, la sua gloria, il fine sostanziale della sua vita.»

 

 

Tratto da: B. Croce, Etica e Politica, a cura di G. Galasso, (1994), Adelphi, Milano.