[LA SOSTANZA DEL MONDO MODERNO]


E poi, per un altro aspetto e per un'altra parte, quella psicologia di guerra non era un mero fatto utilitario, e si riportava a una disposizione morale, che bisognava scrutare e intendere in se stessa, e che era anche più difficile cangiare per semplice analisi critica, senza l'amara esperienza e la provvida sventura.


Si è già detto che nell'Europa, dopo il '70, era scemata la meditazione attiva delle cose morali e politiche, e la fede che solo essa produce e rinnova, e il calore e l'entusiasmo che seguono la fede, e si è accennato quanto questo languore e questa sorta di vuoto spirituale fossero pericolosi e come il pericolo non diminuisse e anzi si facesse più grave quando, riscotendosi dal materialismo, dal naturalismo e dal positivismo e ricominciando un più culto filosofare, si presero volentieri le vie insidiose del misticismo e dell'irrazionalismo: il pericolo, che era quello del formarsi e dell'assorgere di un falso ideale.


Le condizioni a ciò propizie stavano già nelle stesse forze del mondo moderno, nella sua infaticabile attività d'imprese industriali e commerciali, di scoperte tecniche, di macchine sempre più potenti, di esplorazioni geografiche, di colonizzamenti e sfruttamenti economici, nella sua tendenza a conferire il primato agli studi scientifici e pratici sugli speculativi e umanistici, nell'avviamento e nell'ampliamento conferito alle stesse ricreazioni e giuochi sociali, a quel che si chiamò sport, dalle biciclette alle automobili, dai canotti e dai yachts alle aeronavi, dalla boxe e dal foot ball allo sky, che tutti in vario modo cospirarono a dare troppa parte nel costume e nell'interessamento al rigoglio e alla destrezza corporale, scapitandone al confronto le parti dell'intelligenza e del sentimento.


Convergeva al medesimo effetto, insieme con gli armamenti degli stati per la difesa ed offesa, il socialismo marxistico, che nella sua ideologia, trapassata nelle stesse classi sociali che esso combatteva, metteva in primo piano la lotta di una classe contro l'altra, lo sciopero generale, la presa di possesso del potere, il rovesciamento violento dell'ordine sociale esistente, la dittatura del proletariato, e simili; onde, per individualistici e dispregiatori del popolo che fossero coloro che si opponevano ai socialisti, anch'essi rivolgevano il pensiero a mezzi analoghi e anch'essi guardavano con cupidità, demagoghi a lor volta, alle «masse», cioè non al popolo, ma al coacervo, cieco, impulsivo o docile agli impulsi, della folla, bestia plaudente o urlante che ciascun audace può adoprare ai propri intenti.


Apportavano il loro contributo all'esaltazione della violenza le teorie degli etnologi e dei pseudostorici sulle lotte delle razze, e le artificiose coscienze politiche, che sopr'esse si procurava formare, di razze germaniche e latine, slave e scandinave o iberiche o elleniche, come non solo fatti reali ma valori naturali da asserire l'uno contro gli altri, e con la sottomissione o lo sterminio degli altri. La guerra, il sangue, le stragi, le durezze, le crudeltà non erano più oggetto di deprecazione e di ripugnanza e di obbrobrio, ma, come cose necessarie ai fini da conseguire, si facevano accettevoli e desiderabili, e si rivestivano di una certa attrazione poetica, e perfino davano qualche brivido di religioso mistero, per modo che si parlava della bellezza che è nella guerra e nel sangue, e dell'eroica ebrezza che solo per quella via all'uomo è dato celebrare e godere.


Si può designare questo ideale con la parola, che già si viene qua e là pronunziando, di «attivismo»: termine generale, che raccoglie tutte le sue forme particolari e perciò sembra più proprio. E sebbene sia stato chiamato «imperialismo», bisogna avvertire che questo nome, nato in Inghilterra circa il '90, per sé non designava se non un migliore avviamento, più forte e coerente, da dare alla politica coloniale inglese, e che solo l'attivismo gli impresse poi un altro carattere. E sebbene sia stato chiamato anche, e più comunemente, «nazionalismo», bisogna ricordare che questo secondo nome nacque in Francia al tempo dell'antidreyfusianismo, e aveva contenuto antisemitico e insieme reazionario o monarchico assolutistico, ma che l'idea nazionale per sé stessa, e nella forma classica che ebbe dal Mazzini, era umanitaria e cosmopolitica, e perciò il contrario di quel nazionalismo che divenne attivismo e percorse la parabola già presagita dal Grillparzer nella formula: «l'umanità, attraverso la nazionalità, si riconverte in bestialità».


Benedetto Croce, Storia d'Europa nel secolo decimonono (1932), Adelphi, Milano 1991, pp. 412-415


[Questo scriveva Croce nel 1930-31 riferendosi alla fine del XIX secolo.

Ma già stava parlando di noi, del XXI secolo.]


Tiziano Vecellio, "Ratto di Europa" (1560-1562), su commissione di Filippo II di Spagna. Il dipinto raffigura un episodio della mitologia greca: Zeus conquista e rapisce la principessa Europa tramutandosi in toro.
Tiziano Vecellio, "Ratto di Europa" (1560-1562), su commissione di Filippo II di Spagna. Il dipinto raffigura un episodio della mitologia greca: Zeus conquista e rapisce la principessa Europa tramutandosi in toro.