CHE COS'È LA

 

TRADIZIONE?

 

di Elémire ZOLLA

 

 

Tradizione è ciò che si trasmette, specie di progenie in progenie, quanto a dire la radice di quasi ogni stato o atto umano, vivi essendo piuttosto i morti che non coloro nei quali scorre il loro sangue, facilmente illusi di inventare ciò che è pura reviviscenza, di creare discorsi che commuovono con l'apparenza della novità nella misura in cui è obliata l'arcaica voce che già ebbe a pronunciarli in antico. Ma di tradizioni ne esistono di ogni sorta, poiché anche una masnada di scellerati trasmette al nuovo affiliato le furbizie, le parole di passo, le norme di spartizione del bottino, così come una scuola pittorica consegna agli apprendisti i segreti delle velature, la composizione dei pimenti, le consuetudini di feste e banchetti; così infine lo Stato di generazione in generazione tramanda culti di insegne, canti, storie patrie che ancor oggi sono leggendarie, nellamisura stessa in cui si crede d'averle epurate con la critica storica.
Ma la tradizione per eccellenza, cui compete per l'esattezza e non per accorgimento rettorico la maiuscola, è la trasmissione dell'oggetto ottimo e massimo, la conoscenza dell'essere perfettissimo.
Questa la Tradizione superiore ad ogni altra perché logicamente anteriore, implicita anzi nello strumento stesso d'ogni trasmissione, il linguaggio. Ogni sostantivo è il segno di una sostanza, che si coglie nella misura in cui agisca o semplicemente si palesi: in quanto si faccia verbo di moto o di stato. Quest'ultimo, essere, è la condizione, dunque il contenente, di tutti i contenuti linguistici. Dei modi e dei tempi di questo verbo, il primo è l'infinito: essere non è, non fu, non sarà, essendo superiore ai limiti del tempo e dello spazio. Essere è nel linguaggio ciò che il punto è nello spazio, l'unità fra i numeri ; e l'essere nella sua massima perfezione è il principio assoluto di ogni contingenza; ogni cosa peribile è definita dal suo grado di essere, cioè di vicinanza o di distanza dall'essere perfettissimo.

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La Tradizione è la trasmissione dell'idea dell'essere nella sua perfezione massima, dunque di una gerarchia tra gli esseri relativi e storici fondata sul loro grado di distanza da quel punto o unità. Essa è talvolta trasmessa non da uomo a uomo, bensì dall'alto; è una teofania. Essa si concreta in una serie di mezzi: sacramenti, simboli, riti, definizioni discorsive il cui fine è di sviluppare nell'uomo quella parte o facoltà o potenza o vocazione che si voglia dire, la quale pone in contatto con il massimo di essere che gli sia consentito, ponendo inc ima alla sua costituzione corporea o psichica lo spirito o intuizione intellettuale.
Poiché il massimo di essere è l'unità, l'Imitazione di Cristo (I, 3) dice: "Chi trova tutto nell'unità e vede tutto nell'unità, può avere il cuore stabile e dimorare in pace con Dio".

Molte tradizioni affermano di esaurire la Tradizione. [...]
[Ma] non sarà a dirsi che la scelta fra Tradizioni è già aver smarrito l'incarnazione predestinata della Tradizione? L'idea dell'essere perfettissimo non implica la Rivelazione primordiale o primitiva, dalla quale promanano tutte le tradizioni storicamente note? E non vengono di qui le coincidenze tra l'una e l'altra, le ricorrenze degli archetipi tradizionali, talché i Padri parlano del cristianesimo precristiano e della cristianità come corona alla rivelazione primitiva?

Se si definisce la Tradizione come l'insieme degli atti onde si trasmettono i mezzi adatti a propiziare l'intuito dell'essere perfettissimo, quali Scritture e commenti, riti, modi di orazione e precetti morali, allora tutte le tradizioni, di qualsiasi oggetto, si pongono nella prospettiva di quella loro misura eterna. 

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Può capitare che un certo tratto di storia, come quello dell'Occidente dal Medioevo a oggi, illustri come parabola questa discesa dalla Tradizione ad una mera trasmissione di puerilità, il cui grado di essere è minimo. Del pari una comunità il cui fine è, nella misura sempre limitata di qualunque opera umana, lo sviluppo dell'intuizione dell'essere nei suoi membri, può digradare fino a una società il cui fine è di estirpare (nei limiti in cui questo sia pure concesso senza del tutto togliere quell'essere quasi minimo che è l'esistenza animale) il ricordo stesso d'una misura intemporale delle cose temporali.

Il primo modello di comunità procura di imitare in terra la regolarità dei movimenti celesti, sicché ognuno è a stella volto, forma una costellazione, cioè svolge nella città, anche urbanisticamente ricalcata sulla mappa dei cieli, una funzione analoga a quella che nell'economia cosmica adempie quella costellazione o quel pianeta. Di qui il detto del Cristo, che non giova rallegrarsi di operare miracoli ma di avere il proprio nome scritto nei cieli [...]. Di qui la preghiera che la volontà divina si faccia così in terra come in cielo. Una adeguazione punto per punto del cielo e della terra non è storicamente concepibile, ma nemmeno è concepibile qualunque vita la quale non formi apprezzamenti, che pertanto non rinvii ad un'idea sia pure imperfettissima della perfetta adeguazione del cielo e della terra, cielo beninteso essendo l'immagine di un'esistenza il più possibile memore dell'essere perfettissimo.
La Tradizione, attuandosi entro i limiti d'ogni attuazione, cioè di ogni forma, deve pervadere molte tradizioni minori, perché l'intuizione dell'essere va provocata o agevolata attraverso ogni atto umano; nonché le arti, i mestieri possono consacrarsi: ogni strumento, ogni gesto dell'artigiano può essere inteso come simbolo di una tappa verso l'intuizione dell'essere perfettissimo, ed il lavoro era nelle confraternite medievali sfruttato al fine di lucri spirituali [...].

Ogni atto umano è nella sua forma ottima un tramite della Tradizione: la macelleria può consacrarsi in sacrificio, la guerra in espiazione ascetica, la vita coniugale imperniarsi su una communio in sacris, l'agricoltura metaforeggiare la semina del Verbo ovvero la manifestazione dell'essere perfettissimo nel cuore imperfetto dell'uomo, nella sua terra più o meno fertile. [...]

L'idea di una vita celeste è un seme che, coltivato con sufficiente desiderio, irrigato con le lagrime del rimpianto, crescerà trasformando la terra desolata in giardino, secondo la promessa ripetuta da ogni tradizione conforme alla Tradizione.

 

[E. ZOLLA, Che cos'è la tradizione? (1971), Adelphi, 1988, pp. 133-138]