DIMOSTRAZIONE DELL'INFONDATEZZA

DELLA POSIZIONE REALISTICA

 

di E. Severino




Se mettiamo da parte le nostre convinzioni imputabili alla qualità e alla quantità della nostra cultura, e soprattutto imputabili alle nostre cognizioni filosofiche, allora ci troviamo ad essere convinti di alcune tesi fondamentali:

1) Il mondo in cui viviamo è indipendente da noi e dalla coscienza che ne abbiamo. Gli astri e le galassie esistevano milioni di anni prima della comparsa dell'uomo sulla terra, e continueranno ad esistere anche quando non ci sarà più traccia della razza umana. Quest'aula e quasta città, con tutti gli oggetti che la compongono, esisterebbero anche se io non esistessi e non le pensassi. E così si dica per la regione geografica in cui ci troviamo, per l'intera terra, per l'intero universo. [...] Noi siamo convinti di questo.

2) Il mondo in cui viviamo è esterno alla nostra mente. Noi siamo persuasi che un sogno, un'illusione, un ragionamento esistano soltanto se esiste una mente che sogna, si illude, ragiona. Questi eventi esistono solo all'internod ella mente. Ma noi siamo convinti che le cose "reali" esistano - a differenza del rpimo tipo di eventi - esternamente alla nostra mente. Il sogno è nella nostra mente, il Monte Bianco è esterno alla nostra mente, è al di fuori di essa. [...] Questa convinzione è la convinzione che le cose indipendenti dalla nostra mente sono appunto le cose che le sono esterne.

3) Quando riflettiamo sul mondo, ciò che sappiamo appartiene effettivamente al mondo sul quale riflettiamo. [...] Se siamo davanti a una casa a tre piani e diciamo: "Qui c'è una casa a tre piani", noi siamo convinti che i tre piani appartengano effettivamente alla casa che stiamo vedendo.

[...]

Il problema allora è questo: l'affermazione di ciò che esiste indipendentemente dall'orizzonte delle rappresentazioni umane (e cioè indipendentemente dall'esperienza) può essere una proposizione sintetica a posteriori? O anche; l'affermazione di ciò che sta al di là dell'esperienza, può essere un'affermazione, il cui valore sia dato dall'attestazione dell'esperienza? Può essere fondata sull'esperienza? L'esperienza non può fondare un discorso che parla di cose che non appartengono all'esperienza. Questo "no" costituisce il primo motivo del toglimento idealistico della cosa in sé, ossia di una realtà in sé, indipendente dalle rappresentazioni umane. Allora questo atteggiamento realistico, che non abbiamo solo sulle labbra, ma anche in tutti i nostri atti, questa convinzione secondo la quale noi viviamo costantemente, questa convinzione si presenta come qualcosa che non sa esibire, nell'esperienza, il proprio valore.

Se l'affermazione della realtà esterna non è una sintesi a posteriori, d'altra parte è una sintesi. Cosa vuol dire "sintesi"? Vuol dire che il predicato è semanticamente diverso dal soggetto, cioè l'esternità (o indipendenza) si distingue dal concetto di realtàNella proposizione "la realtà è esterna alla mente", il soggetto è "realtà"; il predicato è "esternità alla mente". Si dice che è una sintesi, perché l'analisi del significato "realtà" non esibisce il predicato, cioè l'"esternità alla mente" non è una proprietà che è immediatamente rilevata nel concetto di realtà.  Quando il predicato apartiene al soggetto, tutte le volte che c'è il soggetto, ci dev'essere anche il predicato; allora il predicato "esternità alla mente" non può essere un predicato analiticamente esistente nel soggetto, perché ciò vorrebbe dire che ovunque c'è realtà c'è esternità alla mente; e questo renderebbe impensabile lo stesso concetto di mentalità: tutto il reale sarebbe esterno alla mente, la mente dovrebbe essere essa stessa esterna alla mente. Ma se questo è l'assurdo cui porta l'ipotesi di un rapporto analitico tra soggetto e predicato, è però sufficiente l'analisi di questi due significati per vedere che il predicato è formalmente altro dal soggetto. Realtà vuol dire realtà, esternità alla mente vuol dire qualcosa che non è realtà. Qual è allora il fondamento della posizione realistica? L'idealismo - inteso nel senso più ampio - è la coscienza dell'infondatezza della convinzione realistica.

 

[SEVERINO, Istituzioni di filosofia, Morcelliana, 2010, pp. 10-11 e 66-67]

 

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