LA FILOSOFIA NEL MONDO

 

D'OGGI

di Emanuele Severino



La filosofia è il futuro inevitabile dell'umanità. Il presente è la téchneossia l'insieme delle attivita con le quali l'uomo va libe­randosi dal dolore e dal limite. La 'scienza' (che è il più potente strumento di cui oggi dispone la téchne) deve i propri succes­si all'aver abbandonato le categorie dell'antica epistème e cioe alla rinunzia a porsi come verità assoluta e incontrovertibile. Non solo la 'scienza' può oggi proporsi di costruire l'uomo, ma può proporsi di togliere all'uomo ogni limitazione e costruire addirittura Dio, che in altri tempi veniva inteso come l'oggetto proprio del contemplare. Ma, proprio perché la 'scienza' ha rinunciato ad essere verità, ogni livello di perfezione e di felicità, cui essa abbia a portare l'uomo, non può essere vissuto che come qualcosa di precario, che si può perdere da un momento all'altro. Quanto piu è desiderabile la vita che la téchne può realizzare, tanto piu insoddisfacente è ogni logica, in possesso della téchne, volta ad assicurare la perfettibilità o almeno la stabilità di cio che si è realizzato. La téchne può togliere da ogni limite, ma non da quello consistente nel dubbio che tutto ciò che si è o si ha possa essere travolto in una imminente catastrofe. Solo la logica della verità — e cioè solo una risposta assoluta e incontrovertibile — può togliere il dubbio. E appunto per questo la filosofia, come luogo della verità, è il futuro dell'uomo; il quale, quando sara sul punto di credersi padrone dell'essere, sentirà, con una forza non mai prima provata, il bisogno di sapere la verità di questa sua credenza e quindi, innanzitutto, il bisogno di sapere che cos'è la verità.

L'eclissi della verità risale al più antico pensiero dei Greci e cioè al momento in cui per la prima volta la verità si affacciava nella storia dell'uomo. Dopo Parmenide ogni ricerca sulla verità è stata una ricerca formale, perché è andato perduto il senso del­l'essere. Che è stato inteso come cio che — almeno in quanto essere 'cosmico' o 'finito' — può uscire e ritornare nel nulla. E a questa persuasione si e giunti in base alla convinzione aber­rante che l'emergere e il ritornare nel nulla, da parte dell'essere, sia attestato dall'esperienza. La metafisica è la maggiore respon­sabile dell'eclissi della verita dell'essere, e la téchne è il parto na­turale della metafisica. Giacché è stata quest'ultima a elaborare  quel concetto di 'essere diveniente' che nelle metafisiche della trascendenza definisce una regione parziale dell'essere (che lascia oltre di sé l'essere immutabile) e nelle metafisiche dell'immanenza viene infine a definire la stessa totalità dell'essere. E se l'essere esce e ritorna nel nulla, ci si potrà ben proporre di 'co­struire' l'essere, e cioè di farlo emergere dal nulla secondo i fini progettati dall'uomo. La metafisica classica, che ancora mantie­ne l'idea di 'essere immutabile', non è che il primo e decisivo passo verso la téchne e quindi è l'errore stesso alla sua radice e in tutta la sua grandezza. La storia dell'uomo occidentale è stata determinata appunto da questo peccato d'origine, contenuto nell'ammissione della possibilità che l'essere non sia. Che è am­missione della possibilità che l'essere sia nulla, giacché dire che qualcosa non è significa dire che qualcosa è nulla. Ponendo alla base un'idea dell'essere, nella quale esso è pensato come ciò che può essere nulla, la metafisica classica si è illusa di raggiungere l'essere immutabile. Ma il pensiero successivo non ha fatto che sviluppare quel peccato d'origine, portandosi quindi sempre pùn alla deriva rispetto alla verità dell'essere. Il pensiero non dovrà allora allora ritornare a Parmenide e ripetere l'oltrepassamento di Parmenide compiuto dalla metafisica greca, senza ricadere nel­l'abisso della dimenticanza dell'essere (ben più profondo di quello indicato da Heidegger)? Perché qui sta il compito più impegnativo: pensare per davvero, al di sopra di ogni aporetica, l'impossibilità che l'essere non sia, e intendere l''essere' non più come il puro indeterminato o come una dimensione limitata, ma come il tutto concreto delle cose e degli eventi.

[Severino, E. Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano, 1982, pp. 135-136]