Differenz des Fichte’schen und

Schelling’schen Systems der Philosophie
(1801)


Principio di una filosofia
nella forma di una proposizione fondamentale assoluta


La filosofia, come totalità del sapere prodotta dalla riflessione, diviene un sistema, un intero organico di concetti, la cui legge suprema non è l’intelletto ma la ragione. L’intelletto deve esattamente indicare gli opposti del suo posto, i suoi confini, fondamento e condizione; , ma la ragione unifica questi contraddicenti, li pone entrambi e nello stesso tempo li toglie. Al sistema, in quanto organizzazione di proposizioni, può venir richiesto che l’assoluto, che sta a fondamento della riflessione, sia a lui presente anche secondo la maniera della riflessione, come suprema proposizione fondamentale assoluta. Ma una tale richiesta porta già in sé la sua nullità, poiché un posto dalla riflessione, una proposizione, è per sé un limitato e condizionato, e ha bisogno di un altro per la sua fondazione ecc., all'infinito. [...]
L’assurda illusione, che ciò che è posto soltanto per la riflessione debba necessariamente stare al vertice di un sistema come proposizione fondamentale assoluta, o che l’essenza di ogni sistema si lasci esprimere in una proposizione la quale sia assoluta per il pensare, risolve troppo a buon mercato il problema del sistema sottoposto al suo giudizio. Infatti si può dimostrare molto facilmente che un pensato, che la proposizione esprime, è condizionato da un opposto e quindi non è assoluto: di questo opposto alla proposizione viene dimostrato che esso deve essere posto, che quindi quel pensato, che la proposizione esprime, è nullo. Tale assurda illusione si ritiene tanto più giustificata se il sistema stesso esprime l’assoluto, che è suo principio, nella forma di una proposizione o di una definizione, la quale però è in fondo un’antinomia e toglie perciò se stessa in quanto è un posto per la mera riflessione. Così, ad esempio, il concetto di sostanza in Spinoza [...].
In A=A, come principio di identità, si riflette all’esser-posto-in-rapporto; e questo rapportare, questo esser uno, l’uguaglianza, è contenuta in questa pura identità; si fa astrazione da ogni disuguaglianza. A=A, espressione dell’assoluto pensare o ragione, per quella riflessione formale che si esprime in proposizioni d’intelletto, ha soltanto il significato dell’identità intellettuale, dell’unità pura, cioè di un’unità tale che in essa si fa astrazione dall’opposizione.

Ma la ragione non si trova espressa in questa unilateralità dell’unità astratta. Essa postula anche il porre di ciò da cui nella pura uguaglianza veniva fatta astrazione, il porre l’opposto, la disuguaglianza; il primo A è soggetto, il secondo oggetto; e l’espressione per la loro differenza è A=A o A=B. Questo principio contraddice senz’altro il precedente; in esso si astrae dall’identità pura e si pone la non-identità, la forma pura del «non-pensare», mentre il primo principio è la forma del «pensare puro», il quale è qualcosa di diverso dal pensare assoluto, dalla ragione. Solo perché il non-pensare è pensato e A = A è posto dal pensare, solo perciò questo principio può in generale venir posto. In A=A, o A=B, è posta anche l’identità, il rapportare, lo = del primo principio, ma solo soggettivamente, cioè solo in quanto il non-pensare è posto dal pensare. [...]
Entrambi i princìpi sono princìpi di contraddizione, ma in senso inverso. Il primo, il principio di identità, dice che la contraddizione è =O; il secondo, in quanto viene riferito al primo, dice che la contraddizione è altrettanto necessaria quanto la non-contraddizione. L’uno e l’altro, in quanto princìpi, sono per sé leggi di uguale potenza. In quanto il secondo è espresso in modo che il primo risulta allo stesso tempo ad esso riferito, esso è la più alta espressione possibile della ragione mediante l’intelletto. Questo rapporto reciproco è l’espressione dell’antinomia, e come antinomia, come espressione dell'assoluta identità è indifferente porre A=B o A=A, sempre che A=B e A=A vengano presi come rapporto di entrambi i princìpi. A=A contiene la differenza di A come soggetto da A come oggetto e ad un tempo la loro identità, così come A=B contiene l’identità di A e B insieme con la loro differenza.
Se l’intelletto, nel principio del fondamento in quanto principio di un rapporto di entrambi, non riconosce l’antinomia, non è pervenuto alla ragione e formaliter il secondo principio non è nuovo per esso. Per il mero intelletto A=B non dice più del primo principio; cioè l’intelletto comprende l’esser posto di A come B solo come una ripetizione di A, ossia l’intelletto tien ferma soltanto l’identità e astrae dal fatto che mentre A viene ripetuto nell’esser posto come B o in B, un altro termine, un non-A, è posto, e proprio come A, e dunque A in quanto non-A. — Se si riflette soltanto sull’aspetto formale della speculazione e si conserva la sintesi del sapere in forma analitica, 1’antinomia è la contraddizione che toglie se stessa, la suprema espressione formale del sapere e della verità.

G. W. F. Hegel, Differenza fra il sistema di Fichte e di Schelling, in Primi scritti critici, tr. it. a cura di R. Bodei, Mursia, Milano 1971