Gadamer: Il concetto di cultura nella Propedeutica hegeliana

E' stato proprio Hegel a elaborare con il massimo rigore il concetto di cultura (Bildung). [...]

L'uomo è caratterizzato dalla rottura con l'immediato e il naturale, rottura che gli è imposta dalla parte spirituale, razionale, della sua essenza. "Sotto questo aspetto, egli non è per natura ciò che deve essere", e perciò gli occorre la cultura.

 

Ciò che Hegel chiama l'essenza formale della cultura consiste nella sua universalità. Proprio in base a questo concetto di innalzamento all'universalità Hegel poté abbracciare in un unico concetto quello che la sua epoca intendeva per cultura.

 

Innalzamento all'universalità  non è limitato alla cultura teorica e non significa in generale solo un comportamento teoretico in opposizione al comportamento pratico, ma designa la determinazione essenziale della razionalità umana nel suo insieme. Essenza generale di tutta la cultura umana è quella di costituirsi come essenza spirituale universale. Chi si abbandona alla particolarità non è colto: così, per esempio, colui che si lascia andare alla propria cieca ira senza misura né proporzione. Hegel mostra che che una persona simile, in fondo, manca di capacità di astrazione: non riesce a prescindere da sé stesso e porsi da un punto di vista universale dal quale potrebbe determinare il suo particolare secondo misura e giusta proporzione.

La cultura come innalzamento all'universalità è dunque un compito dell'uomo, che esige il sacrificio della particolarità all'universale. [...]

 

Nella 'Fenomenologia dello Spirito', Hegel sviluppa la genesi di una autocoscienza reale libera "in sé e per sé" e mostra che l'essenza del lavoro è costruire la cosa, non consumarla e dissolverla. La coscienza che lavora, nel sussistere autonomo che il lavoro conferisce alla cosa, ritrova sé stessa come coscienza autonomamente sussistente. Il lavoro è appetito sensibile dominato. In quanto forma l'oggetto, cioè opera disinteressatamente  e si pone per fine qualcosa di universale, la coscienza che lavora si innalza dalla propria particolarità immediata all'universalità - o, come dice Hegel, in quanto forma (bildet) la cosa, essa forma sé stessa. Egli intende dire che con ciò che l'uomo, in quanto si trova a possedere un "potere", certe capacità, possiede anche una certa consapevolezza di sé.

 

Nella 'Propedeutica' questa essenza della cultura morale che consiste nell'esigere da sé la realizzazione dell'universale viene chiarita in una serie di esempi. La si vede così nella temperanza, la quale modera gli eccessi nella soddisfazione dei bisogni e nell'uso delle proprie forze in riferimento a un universale, la salute. Parimenti, la si vede nella prudenza che, davanti a una situazione o a un problema particolare, rimane aperta alla considerazione di aspetti diversi che si possono rivelare essenziali. Ma anche la scelta di un mestiere ha in sé qualcosa di questo genere. Ogni mestiere ha in sé qualcosa del destino, della necessità esterna, e impone che ci si dedichi a compiti che spontaneamente non si sarebbero mai scelti. In questo caso, cultura morale significa adempiere ai compiti del proprio mestiere in tutti i suoi aspetti. Questo implica però che si superi l'estraneità che tali compiti presentano per quel particolare che ciascuno è, e che essi siano fatti completamente propri. La dedizione all'universale del mestiere è dunque un "sapersi limitare", cioè far proprio completamente il proprio mestiere. In tal modo esso non rappresenta più un limite."

 

Hans-Georg Gadamer, Wahrheit und methode, 1960.