L'AMORE

 
di Friedrich Hegel


tratto da un frammento del periodo jenese

 


Unificazione vera, vero e proprio amore, hanno luogo
soltanto tra viventi che sono eguali in potere, e che, quindi, sono in tutto e per tutto l'un per l'altro dei vi­venti, che per nessun lato sono l'un per l'altro dei morti; l'amore esclude ogni opposizione: esso non è intelletto, i cui rapporti lasciano ognora il molteplice come molte­plice, e la cui unità stessa sono delle opposizioni; l'amore non è ragione che oppone senz'altro il suo determinare al determinato; l'amore non è niente di limitante, niente di limitato, niente di finito; l'amore è un sentimento, ma non un sentimento singolo. Dal sentimento singolo, — essendo esso soltanto una vita parziale, non la vita intera, — la vita, mediante il discioglimento, si spinge alla dispersione nella molteplicita dei sentimenti, e vi si spinge per trovare sé in questo intiero della molte­plicità; questo intiero, nell'amore, non è contenuto come nella somma di molti particolari, di molti separati; nell'amore si trova la vita stessa come una duplicazione di se stesso, e come una unificazione di essa medesima; dalla unità non sviluppata, la vita, attraverso la cultura, ha percorso il circolo verso una unificazione completa; alla unificazione non sviluppata stavano di contro la possibilità della separazione e il mondo; la riflessione produceva nello sviluppo sempre più opposto, che ve­niva unificato nell'impulso appagato, fin che la rifles­sione opponeva all'uomo l'intiero dell'uomo stesso, fin che l'amore toglie, in piena assenza d'oggetto, la riflessione, strappa all'opposto ogni carattere di un estraneo, e la vita trova se stessa senza ulteriore difetto. Nel­l'amore è ancora il separato, ma non più come separato: — come Unificato; e il vivente sente il vivente.
Essendo l'amore un sentimento del vivente, gli amanti possono solo intanto distinguersi, in quanto essi sono mortali, in quanto essi pensano questa possibilita di se­parazione; non intanto in quanto essi siano veramente qualcosa di separato, non in quanto il possibile congiunto con un essere sia un effettuale. Negli amanti non v'è materia alcuna; essi sono un vivente intiero. Gli amanti hanno indipendenza, hanno un principio proprio di vita, cio significa soltanto: essi possono morire. La pianta ha sale e parti della terra, le quali recano in se leggi proprie del loro modo di operare; è la riflessione di un estraneo, e significa solamente: la pianta puo disfarsi. Ma l'amore tende a togliere anche questa differenza, questa possibilita come mera possibilita, e tende a unificare anche il mortale, a farlo immortale. Il separabile
fin tanto che esso, prima della unificazione completa è ancora qualcosa di proprio, — produce agli amanti un imbarazzo; è una specie di conflitto tra la completa de­dizione, tra l'unico annichilimento possibile — l'annichilimento dell'opposto nell'unificazione — e l'indipen­denza ancora presente; la dedizione si sente impedita dall'indipendenza. L'amore si corruccia di questo [quid] ancora separato, si corruccia di una proprietà; questo adirarsi dell'amore sopra l'individualità, e il pudore; il pudore non è un sussulto del mortale, non una estrin­secazione della libertà di mantenersi, di sussistere. In una aggressione senza amore un animo pien d'amore viene offeso da quest'atto d'inimicizia; il pudore di un tale animo si muta in collera, la quale ora difende sol­tanto la proprietà, difende soltanto il diritto. Se il pu­dore non fosse un effetto dell'amore, che prende la figura del corruccio sol perche vi è qualcosa di ostile; se invece il pudore, secondo la sua natura, fosse qualcosa di ostile che voglia salvaguardare una proprietà suscettibile d'ag­gressione; in questo caso si dovrebbe dire dei tiranni che essi hanno in sommo grado il pudore, a simiglianza delle ragazze che non concedono, senza denaro, i loro allettamenti, o a simiglianza delle ragazze vanitose che degli allettamenti si servono come di catene. Né quei tiranni ne queste ragazze amano; la loro difesa dell'ele­mento mortale è il contrario del corruccio che se ne ha; quei tiranni e queste ragazze attribuiscono all'ele­mento mortale un valore: gli uni e le altre sono spu­dorati. Un animo puro non si vergogna dell'amore; ma si vergogna che questo non sia completo; l'amore non completo si rimprovera che vi sia ancora un potere, an­cora un quid ostile che procura degli impedimenti al compimento. Il pudore subentra soltanto per via del ri­cordo del corpo, per via della presenza personale, nel sentimento dell'individualità. Il pudore non è una paura per l'elemento mortale e proprio; bensi è una paura di­nanzi all'elemento mortale e proprio, la quale sparisce con lo sparire del separabile, via via che l'amore sminuisce questo separabile stesso; infatti l'amore e più

forte della paura; esso non teme la propria paura, ma

da lei accompagnato, toglie la separazione, con la preoc­cupazione idi trovare una opposizione resistente o addi­rittura salda. L'amore è un reciproco prendere e dare. Timoroso che i suoi doni possono venire scherniti; timoroso che un opposto non voglia cedere al suo pren­dere, esso cerca di far la prova [per vedere] se la Spe­ranza non lo ha ingannato, se esso trova se stesso com­pletamente; quello che prende non diviene, con ciò, più ricco dell'altro; si arricchisce bensì, ma altrettanto si arricchisce l'altro; similmente quello che dà, non si fa più povero; nel dare all'altro, ha di altrettanto aumen­tato i suoi propri tesori. Giulia e Romeo: quanto piùn io do, tanto più io ho ecc. L'amore acquista questa ricchezza di vita nello scambio di tutti i pensieri, di tutte le varie molteplicita dell'anima, giacché esso cerca in­finite differenze e si procura infinite unificazioni: si volge all'intera molteplice varietà della natura per bere da ciascheduna delle sue vite l'amore. Cio che più in­timamente è proprio si unifica nella carezza, contatto sensuale, fino a smarrire la coscienza, fino a togliere ogni differenza; il mortale ha deposto il carattere della separabilità: e un embrione d'immortalità, un embrione di ciò che eternamente da se si sviluppa e produce, un vivente, si è fatto. L'unificato non si separa di nuovo, la divinità ha operato, ha creato. Ma questo unificato è solo un punto: l'embrione. Niente possono gli amanti partecipargli; [non possono partecipargli] che in lui si trovi un molteplice; infatti nella unificazione non è stato manipolato un opposto; essa è libera da ogni se­parazione; tutto ciò per cui un molteplice può essere e può avere determinata esistenza, il neo-generato lo deve aver tratto in se stesso, lo deve aver opposto e unificato. L'embrione si volge sempre più all'opposizione, e tocca a lui; ogni grado del suo sviluppo è una separazione, per guadagnare di nuovo l'intera ricchezza della vita stessa. E così è dunque: ciò che è unito [das Einige]i separati e i riunificati. Gli unificati si separano di nuovo; ma nel figlio l'unificazione stessa è divenuta inseparata.
Questa unificazione dell'amore è bensì completa, ma lo può essere unicamente in quanto il separato sol così è opposto, che l'Uno è l'amante e l'Altro è l'amato; di modo che, dunque, ogni separato è un organo di un vivente. Ma, oltre a ciò, gli amanti stanno ancora in con­giunzione con molto mortuum: a ciascuno apparten­gono molte cose, vale a dire esso sta in rapporto con opposti che anche per il rapportante stesso sono ancora opposti, oggetti; e cosi essi sono ancora capaci di una molteplice opposizione nel molteplice acquisto e possesso della proprietà e dei diritti. Il mortuum trovantesi sotto il potere dell'uno, è opposto a tutti e due; e l'unifica­zione sembra potersi avverare soltanto su questo punto: che cotesto mortuum venga sotto la padronanza di tutti e due. L'amante che scorge l'altro in possesso di una pro­prietà deve sentire questa particolarità dell'altro ch'egli ha voluto; egli non puo da se togliere l'esclusiva padro­nanza dell'altro; ciò sarebbe infatti di nuovo una oppo­sizione di contro al potere dell'altro, giacche l'altro non può trovare nessun diverso rapporto all'oggetto, se non il dominio dell'oggetto medesimo; esso contrapporrebbe una dominazione al dominio dell'altro e toglierebbe un rapporto dell'altro, toglierebbe il suo escludere tutti.

E se il possesso e la proprietà costituiscono una parte così importante dell'uomo, delle sue preoccupazioni e dei suoi pensieri, neanche gli amanti possono astenersi dal riflettere a questo lato delle loro relazioni; e se pur l'uso è comune, resterebbe indeciso il diritto al possesso; il pensiero del dirittto non verrebbe affatto obliato, perché tutto ciò di cui gli uomini sono in possesso ha la forma giuridica della proprietà; ma quand'anche il possessore ponga l'altro nell'eguale diritto di possesso, tuttavia la comunanza dei beni è soltanto il diritto di ciascheduno dei due alla cosa.

[DE NEGRI, Enrico, I principi di Hegel, La Nuova Italia, Firenze, 1949, pp. 18-24]