Georg Wilhelm Friedrich Hegel

 

 

 

Phänomenologie des Geistes

 

(1807)

 

 

 

 

 

LA CERTEZZA SENSIBILE

 

 

 

Ovvero, il Questo e la mia opinione

 

 

 

 

 

Sulla base della concretezza del suo contenuto, la certezza sensibile appare immediatamente come la conoscenza più ricca, anzi, come una conoscenza infinitamente ricca: infatti, non ci sembra possibile porle né un limite esterno, nello spazio e nel tempo in cui essa si dispiega, né un limite interno, nella divisione in parti di un qualsiasi frammento di questa pienezza. Inoltre, essa appare come la conoscenza più vera,in quanto non ha ancora trascurato nella dell'oggetto, ma lo ha piuttosto davanti a sé in tutta la sua integrità e completezza.

 

Di fatto, però, tale certezza si rivela proprio come la verità più astratta e più povera. Il suo sapere si riduce soltanto all'enunciazione: «esso è», e la sua verità contiene unicamente l'essere della Cosa. […]

 

Nella certezza sensibile, insomma, la Cosa è, ed è soltanto perché è. La Cosa è: in ciò risiede l'essenziale per il sapere sensibile, e questo puro essere, questa immediatezza semplice, costituisce la verità della Cosa. […]

 

 

 

Ora, nella certezza sensibile, un momento è posto come l'essente semplice e immediato, cioè come l'essenza, ed è l'oggetto; l'altro momento, invece, è posto come l'inessenziale e mediato che qui non è in sé, ma solo mediante un altro: e questo è Io, un sapere che sa l'oggetto solo perché l'oggetto è, un sapere che dunque può essere o anche non essere. L'oggetto, invece, è, è il vero e l'essenza, ed è indifferentemente dall'essere saputo o no. L'oggetto permane anche se non viene saputo, mentre il sapere non è se non è l'oggetto.

 

 

 

[…] È proprio alla certezza sensibile, dunque, che bisogna chiedere: che cos'è il Questo? Ora, se noi lo prendiamo nella duplice figura del suo essere, cioè come l'Ora e come il Qui, allora la dialettica interna di questo essere assumerà una forma intelligibile in grado di illuminare il Questo stesso.

 

Dunque, alla domanda: che cos'è l'Ora?, noi rispondiamo per esempio: l'Ora è la notte. Per esaminare la verità di questa certezza sensibile basta un semplice esperimento: annotiamo per iscritto questa verità – una verità, infatti, non può perdere nulla se viene messa per iscritto, e ancora meno se viene conservata. Se però noi rivediamo Ora, a mezzogiorno, la verità scritta, saremo costretti a dire ch'è divenuta stantìa.

 

L'Ora che è notte viene conservato, viene cioè preso nel senso in cui era stato enunciato: come un essente; esso, tuttavia, si dimostra piuttosto come un non essente. Certo, l'Ora stesso si conserva, ma come un Ora che non è notte; analogamente, anche adesso che è giorno, l'Ora si conserva come un Ora che non è giorno, si conserva cioè come un negativo in generale. Questo Ora che si conserva, dunque, non è un immediato, ma un mediato; esso, infatti, in quanto Ora che permane e si mantiene, è determinato mediante il fatto che altro – il giorno e la notte – non è. Con tutto ciò, l'Ora è rimasto semplice come prima, è Ora, e in questa semplicità è indifferente verso il gioco che gli si svolge accanto: come la notte e il giorno non sono l'essere dell'Ora, così neppure l'Ora è giorno e notte. L'Ora non è intaccato da questo suo essere-altro.

 

Una tale semplicità, che mediante negazione non è né questo né quello ma è un non-questo, e che è anche altrettanto indifferente a essere questo o quello, è ciò che noi chiamiamo un universale. Il vero della certezza sensibile è dunque di fatto l'universale.

 

Noi enunciamo come un universale anche il sensibile. Noi diciamo: «questo», cioè il Questo universale; oppure diciamo: «esso è», cioè l'essere in generale. In tal modo, non ci rappresentiamo certo il Questo universale o l'essere in generale, ma, semplicemente, enunciamo l'universale. In altri termini, quando parliamo non esprimiamo affatto ciò che crede di esprimere l'opinione di questa certezza sensibile.

 

Come vediamo, dunque, il linguaggio costituisce una verità superiore. Nel linguaggio, infatti, noi confutiamo immediatamente proprio la nostra opinione, e poiché l'universale è il vero della certezza sensibile, e il linguaggio esprime solo questo vero, allora ci è del tutto preclusa la possibilità di dire un essere sensibile nel modo in cui lo opiniamo.

 

Lo stesso caso si produce con l'altra forma del Questo, cioè con il Qui. Il Qui è, per esempio, l'albero. Quando mi volto, questa verità è dileguata e si è convertita in quella opposta: il Qui non è un albero, ma piuttosto una casa. Non è perciò lo stesso Qui a sparire, ma esso è ciò che permane nel dileguare della casa, dell'albero, ecc., e gli è indifferente essere casa o albero. Anche in questo caso, dunque, il Questo si mostra come semplicità mediata, cioè come universalità.

 

La certezza sensibile dimostra dunque in se stessa che la verità del proprio oggetto è l'universale. In tal modo, l'essenza di questa certezza resta, sì, il puro essere, ma non come l'immediato, bensì come qualcosa cui sono essenziali la negazione e la mediazione. Non si tratta quindi dell'essere che opiniamo, ma dell'essere con la determinazione dell'astrazione, dell'universalità pura; e la nostra opinione, secondo cui il vero della certezza sensibile non è l'universale, è l'unica cosa che resta dinanzi a questo vuoto e indifferente Qui e Ora.

 

 

 

Quanto al rapporto tra il sapere e l'oggetto, vediamo che esso risulta adesso invertito rispetto a prima. L'oggetto, che doveva essere l'essenziale, è ora l'inessenziale della certezza sensibile. L'oggetto, infatti, è divenuto l'universale, ma l'universale non costituisce affatto l'oggetto che doveva essere essenziale per la certezza sensibile; la stessa certezza, piuttosto, è adesso data nell'opposto dell'oggetto, cioè nel sapere, il quale prima era invece l'inessenziale. La verità della certezza sensibile è adesso nell'oggetto in quanto oggetto mio, cioè nella mia opinione: l'oggetto è perché Io so di esso.

 

 

 

 

 

G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, tr. it. a cura di V. Cicero, Bompiani, Milano 2006