MALATTIA E MORTE DELL'INDIVIDUO
di G. W. F. Hegel
L'organismo si trova in uno stato di malattia nella misura in cui uno dei suoi sistemi o organi, eccitato al conflitto con la potenza inorganica, si
irrigidisce per sé e persevera nella sua attività particolare contro l'attività del Tutto, la cui fluidità e il cui processo attraversante tutti i momenti si trovano pertanto ostacolati.
[...]
Nella malattia l'animale è avviluppato con una potenza inorganica ed è irrigidito in un suo sistema o organo particolare contro l'unità della sua vitalità.
Il suo organismo, in quanto Esserci, è dotato di una forza quantitativa, con la quale può, sì, oltrepassare il suo sdoppiamento, ma anche soggiacervi, trovando così una delle modalità della
propria morte.
In generale, dominare e oltrepassare una singola inadeguatezza non rimuove l'inadeguatezza universale dell'individuo, la quale consiste nel fatto che l'Idea dell'individuo è
l'Idea in quanto tale immediata; l'individuo, infatti, in quanto animale, sta all'interno della Natura, e la sua soggettività è soltanto in sé il Concetto, ma non
lo è per sé stessa.
L'universalità interna, pertanto, rispetto alla singolarità naturale del vivente, resta la potenza negativa, da cui il vivente patisce violenza e per cui perisce. Il suo Esserci in quanto tale,
infatti, non ha esso stesso in sé questa universalità, e quindi non ne è la realità corrispondente.
L'universalità, secondo cui l'animale, in quanto singolare, è un'esistenza finita, si mostra in esso come la potenza astratta nell'esito del processo, anch'esso astratto, che si svolge
al suo interno.
La sua inadeguatezza all'universalità è la sua malattia originaria e il germe innato della sua morte.
La rimozione di questa inadeguatezza è appunto il compimento di questo destino.
HEGEL, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1830), tr. it. di V. Cicero, Bompiani, Milano, 200, pp. 625-631.