Arnold Böcklin, "L'isola dei morti" (1880-86)
Arnold Böcklin, "L'isola dei morti" (1880-86)

 

Il tema della morte di Dio nella Gaia scienza

 

Friedrich Nietzsche

 

La gaia scienza

(1882)

 

LIBRO TERZO

 

108. Nuove battaglie. Dopo che Buddha fu morto, si continuò per secoli ad additare la sua ombra in una caverna – un'immensa orribile ombra. Dio è morto: ma stando alla natura degli uomini, ci saranno forse ancora per millenni caverne nelle quali si additerà la sua ombra. – E noi – noi dobbiamo vincere anche la sua ombra!

 

109.Stiamo all'erta! Guardiamoci dal pensare che il mondo sia un essere vivente. In che senso dovrebbe svilupparsi? Di che si nutrirebbe? Come potrebbe crescere e aumentare? Sappiamo già a stento che cos'è l'organico: e dovremmo reinterpretare quel che è indicibilmente derivato, tardivo, raro, casuale, percepito da noi soltanto sulla crosta terrestre, come un essere sostanziale, universale, eterno, come fanno coloro che chiamano l'universo un organismo? Di fronte a ciò sento disgusto. Guardiamoci bene dal credere che l'universo sia una macchina: non è certo costruito per un fine: gli rendiamo un onore troppo alto con la parola "macchina". Guardiamoci dal supporre esistente universalmente e in ogni luogo qualcosa di così formalmente compiuto come i movimenti ciclici delle stelle nostre vicine: basta uno sguardo alla via lattea per domandarci se non esistano movimenti molto più imperfetti e contrastanti, come pure stelle con eterne traiettorie rettilinee di caduta o altre cose del genere. L'ordine astrale in cui viviamo è un'eccezione; quest'ordine e la considerevole durata, di cui è la condizione, hanno reso a loro volta possibile l'eccezione delle eccezioni: la forma dell'organico. Il carattere complessivo del mondo è invece caos per tutta l'eternità, non nel senso di un difetto di necessità, ma di un difetto di ordine, articolazione, forma, bellezza, sapienza e di tutto quanto sia espressione delle nostre estetiche nature umane. A giudicare dal punto di vista della nostra ragione, i colpi mancati sono di gran lunga la regola, le eccezioni non sono i fini segreti e l'intero congegno sonoro ripete eternamente il suo motivo che non potrà mai dirsi una melodia - e, infine, anche la stessa espressione "colpo mancato" è un'umanizzazione che include in sé un biasimo. Ma come potremmo biasimare o lodare il tutto? Guardiamoci dall'attribuirgli assenza di sensibilità e di ragione, ovvero il loro opposto: l'universo non è perfetto, né bello, né nobile e non vuol diventare nulla di tutto questo, non mira assolutamente ad imitare l'uomo! Non è assolutamente toccato da nessuno dei nostri giudizi estetici e morali! Non ha neppure un istinto d'autoconservazione e tanto meno istinti in generale: non conosce neppure leggi. Guardiamoci dal dire che esistono leggi nella natura. Non vi sono che necessità: e allora non c'è nessuno che comanda, nessuno che presta obbedienza, nessuno che trasgredisce. Se sapete che non esistono scopi, sapete anche che non esiste il caso: perché soltanto accanto ad un mondo di scopi la parola "caso" ha un senso. Guardiamoci dal dire che morte sarebbe quel che si contrappone alla vita. Il vivente è soltanto una varietà dell'inanimato e una varietà alquanto rara. – Guardiamoci dal pensare che il mondo crei eternamente qualcosa di nuovo. Non esistono sostanze eternamente durature: la materia è un errore, né più né meno del dio degli Eleati. Ma quando la finiremo di star circospetti e in guardia! Quando sarà che tutte queste ombre di Dio non ci offuscheranno più? Quando avremo del tutto sdivinizzato la natura! Quando potremmo iniziare a naturalizzare noi uomini, insieme alla pura natura, nuovamente ritrovata, nuovamente redenta!

 

110. Origine della conoscenza. Per immensi periodi di tempo, l’intelletto non ha prodotto nient’altro che errori: alcuni di questi si dimostrarono utili e atti alla conservazione della specie: chi s’imbatte in essi o li ricevette in eredità, combatte con maggior fortuna la sua battaglia per se stesso e per la sua prole. Tali erronei articoli di fede, che furono sempre e ulteriormente tramandati e divennero infine quasi il contenuto specifico e basilare dell’umanità, sono per esempio questi: che esistano cose durevoli, che esistano cose uguali, che esistano cose, materie, corpi, che una cosa sia quel che essa appare,che il nostro volere sia libero, che quanto per me è bene lo sia anche in sé e per sé. Solo molto tardi apparve chi negò e mise in dubbio tali proposizioni – solo molto tardi si fece innanzi la verità, come la forma più depotenziata della conoscenza. Parve che con essa non si fosse più in grado di vivere, il nostro organismo era strutturato per il suo opposto; tutte le sue più elevate funzioni, le percezioni dei sensi e in generale ogni specie di sensazione collaboravano con quei primordiali errori di fondo che erano stati incorporati. Non solo, quelle proposizioni divennero anche, all’interno della conoscenza, norme secondo le quali si misurava il «vero» e il «non vero» – fin nelle più lontane regioni della logica pura. Cosicché la forza delle conoscenza non sta nel loro grado di verità, bensì nella loro età, nel loro essere incorporate, nel loro carattere di condizioni di vita. […]

 

125. L’uomo folle. Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: «Cerco Dio! Cerco Dio!». E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. «È forse perduto?» disse uno. «Si è perduto come un bambino?» fece un altro. «Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?» – gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: «Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un’azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!». A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. «Vengo troppo presto – proseguì – non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest’azione è ancora sempre più lontana da loro delle più lontane costellazioni: eppure son loro che l’hanno compiuta!». Si racconta ancora che l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: «Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?».