Istituzione del semantema


ontologico fondamentale

 

 

di G. Bontadini

 

 


Tutte le discipline hanno l'essere come ultimo oggetto materiale; ma si deve dire che la metafisica lo ha come oggetto formale. Così stando la cosa, il 
primo compito della metafisica è quello di esibire lo stesso significato elementare del termine essere. Questo significato era già, naturalmente, implicito in quanto abbiamo fin qui detto; esso anzi, è implicito in ogni nostro discorso, poiché in ogni nostro discorso, anche se questo termine non ricorre tanto frequentemente in posizione di soggetto o di predicato, vi ricorre però continuamente come copula. E' un termine che, comunque, noi spendiamo con grande prodigalità. Sarà bene perciò che, una volta in vita, noi facciamo il conto di cassa, per sapere che cosa spendiamo con questa valuta.

Il significato di questo termine, in apparenza semplicissimo, sembra ovvio. Vorremmo mettere in guardia contro l'ovvio: la filosofia vive proprio di scoperte operate sotto l'ovvio. Ad ogni modo, se è ovvio, sarà anche facile metterlo fuori, dichiararlo, il significato.

I significati dei termini, in generale, si dichiarano mediante quell'operazione logica, che si chiama definizione. Ma qui ognuno comprendera tosto, senza bisogno di molte considerazioni, che il termine essere non è definibile per mezzo di altri termini più semplici. Non è, naturalmente, il solo termine indefinibile: nella sua condizione si trovano anche le cosiddette categorie; ma ad ogni modo, se mai ve n'è uno, di termini indefinibili, questo è lui, l'essere. E tuttavia occorre decidere che cosa con esso precisamente significhiamo.

[...]

L'osservazione che facciamo, e che il lettore deve controllare per proprio conto, è questa: che tale significato si costituisce per l'appunto nella opposizione al negativo (anzi, nella opposizione come tale, giacché ogni opposizione è tra il positivo e il negativo). Noi non possediamo il significato dell'essere prima (di priorità logica, ossia appunto come significato) di quello del nulla; né, si capisce, possediamo il nulla prima dell'essere. I due significati nascono ad un parto, per correlazione originaria.

 

L'esperienza fondamentale, in cui i due semantemi si instaurano insie­me, è quella del divenire, della mutazione, della “trasformazione”. Cosa significa “il tavolino è esisten­te”? Significa che non è andato distrutto. Il positivista e il pragmatista sanno benissimo cosa significa esser distrutto, perché il positivismo ed il pragmatismo mirano a rendere stabile la condizione della felicità terrena: mirano a stabilizzare l’essere, cioè a difenderlo dal non (in questo caso si parla dell'essere dell'uomo, il quale sarebbe stabilizzato quando potesse evitare la morte — cioè il “non” della vita — e insieme la perdita — sempre il «non» — dei beni della vita, tra cui rientrano anche i tavolini).

 

Se si considera il tavolino in se stesso, analiticamente, non vi ritrovo certo, come una nota accanto alle altre, cioè accanto al colore, al peso alle relazioni varie, ecc., l'esistenza. Questo va tenuto ben chiaro; ed è il contributo fenomenologico della critica empiristica. Il significato del predicato «esistenza» emerge in grazia di un portarsi oltre, di un oltrepassamento. Questo oltrepassamento ci è imposto dalla stessa esperienza, che è esperienza del sorgere e del tramontare — comparire e scomparire. Noi ci rendiamo conto di che cos'è l'esistenza, in generale, quando essa è scomparsa.

La cosa è paradossale. Noi apprendiamo il significato delle singole parole quando l'oggetto corrispondente ci si presenta, ci si manifesta, compare: qui si ha tutto il contrario. Il paradosso risalta anche più chiaramente, se formuliamo un periodo come il seguente: “noi apprendiamo ogni essere nel suo manifestarsi, ma il termine stesso di essere lo semantizziamo nello scomparire di ciò che esso designa”. Il paradosso può attenuarsi se tentiamo qualche paragone: per es. con la salute, con la giovinezza (che, del resto, non sono che casi del positivo); delle quali si dice che ce ne accorgiamo quando non ci sono più, solo allora ne apprezziamo tutta l’“entità””.

Comunque il termine essere non presenta solo questa stranezza, ma molte altre ancora. Esso è, insieme, il concerto più comune, dico il più usato dall'uomo comune, e il più speculativo». E’ il tramite, perciò, tra la coscienza comune e la coscienza filosofica; e il punto che segna la continuità, l'adiacenza tra questi due gradi della coscienza.

[G. Bontadini, Appunti di filosofia, Vita e Pensiero, Milano, 1996, pp. 14, 27, 28]