Texte français intégral

 

Hippolyte Taine

(1828-1893)

 

Le origini della Francia contemporanea

 

L'antico regime

 

 

Prefazione

 

Nel 1849, compiuti i ventun anni e diventato elettore, ero in grave imbarazzo; dovevo infatti eleggere quindici o venti deputati e, per di più, secondo l'uso francese, dovevo non solo scegliere degli uomini, ma anche optare fra diverse teorie. Mi si proponeva di essere monarchico o repubblicano, democratico o conservatore, socialista o bonapartista: io non ero niente di tutto ciò, e nemmeno niente di niente, e talvolta invidiavo tanta gente convinta che aveva la fortuna di essere qualche cosa. Dopo avere ascoltato le diverse dottrine, dovetti riconoscere che nella mia testa c'era sicuramente una lacuna. Motivi validi per altri non lo erano per me; non riuscivo a comprendere come in politica ci si potesse decidere sulla base delle proprie preferenze.

Tutti quei signori sicuri di sé costruivano una costituzione alla stessa maniera di una casa, secondo il progetto più bello, più nuovo o più semplice, e ve ne erano parecchi allo studio, palazzo di marchesi, casa di borghesi, alloggio di operai, caserma di militari, falansterio di comunisti e perfino accampamento di selvaggi. Ciascuno diceva del proprio modello: «Ecco la vera dimora dell'uomo, la sola che un uomo di buon senso possa abitare». Il mio buon senso, invece, mi diceva che l'argomento era debole: i gusti personali non mi sembravano delle autorità. Pensavo che una casa non dovrebbe essere fatta per l'architetto, e nemmeno per se stessa, ma per il proprietario che va ad abitarci. – E domandare l'opinione del proprietario, sottomettere cioè al popolo francese i progetti della sua futura abitazione, era troppo visibilmente una finzione o un inganno: in casi del genere la domanda determina sempre la risposta e, d'altronde, anche se questa risposta fosse stata libera, la Francia non era certo più di me in grado di darla; dieci milioni di ignoranti non fanno un sapiente. Un popolo consultato può, a rigore, dire quale forma di governo gli piaccia, ma non quale sia quella di cui ha bisogno; lo saprà solo al momento in cui la proverà; gli ci vuole del tempo per verificare se la sua casa politica è comoda, solida, capace di resistere alle intemperie, appropriata ai suoi costumi, alle sue occupazioni, al suo carattere, alle sue peculiarità, alle sue impennate. Ora, al banco di prova, noi non siamo mai stati contenti della nostra; tredici volte in ottanta anni l'abbiamo demolita per rifarla, e abbiamo avuto un bel rifarla, non abbiamo ancora trovato quella che fa per noi. Se altri popoli sono stati più fortunati, se all'estero parecchie abitazioni politiche sono solide e possono reggersi indefinitamente, è perché esse sono state erette in una maniera particolare, intorno a un nucleo primitivo e compatto, appoggiandosi su qualche vecchio edificio centrale più volte riparato ma sempre conservato, ampliato per gradi e adattato per tentativi e allargamenti successivi ai bisogni dei suoi abitanti. Nessuna di esse è stata costruita tutta in una volta, sotto un nuovo padrone, e secondo i soli canoni della ragione. Forse bisogna ammettere che non esiste nessun altro mezzo per costruire una dimora, e che l'invenzione improvvisata di una costituzione nuova, appropriata, stabile, è un'impresa che supera le forze dell'ingegno umano.

In ogni caso, concludevo che, se mai scopriremo quella che fa al caso nostro, ciò non sarà certo per merito dei procedimenti in voga. In realtà, si tratta di scoprirla, se essa esiste, e non di metterla ai voti. A questo riguardo le nostre preferenze sarebbero vane, la natura e la storia hanno già scelto per noi; sta a noi adattarci ad esse, perché è sicuro che esse non si adatteranno a noi. La forma sociale e politica nella quale un popolo può entrare e restare non è affidata al suo arbitrio, ma determinata dal suo carattere e dal suo passato. Bisogna che, fin nei minimi lineamenti, essa si modelli sui caratteri viventi ai quali la si applica; altrimenti si romperà e cadrà in pezzi. Perciò, se arriveremo a trovare la nostra, sarà soltanto studiando noi stessi, e quanto più precisamente sapremo ciò che siamo, tanto più sicuramente distingueremo ciò che fa per noi. Bisogna dunque rovesciare i metodi consueti e farci un'idea della nazione prima di redigerne la costituzione. Senza dubbio, la prima operazione è più lunga e più difficile della seconda. Quanto tempo, quanti studi, quante osservazioni corrette le une dalle altre, quante ricerche nel presente e nel passato, in tutti i scampi del pensiero e dell'azione, quanto lavoro molteplice e secolare per farci un'idea esatta e completa di un grande popolo che ha vissuto l'età di un popolo e che vive ancora! Ma questa è l'unico mezzo per non statuire male dopo aver ragionato a vuoto, e io mi riprometto che, almeno per quanto riguarda me stesso, se un giorno mi metterò a cercare un'opinione politica, sarà soltanto dopo aver studiato la Francia.

Che cos'è la Francia contemporanea? Per rispondere a questa domanda, bisogna sapere come questa Francia si è fatta o, meglio ancora, assistere da spettatori alla sua formazione. Alla fine del secolo scorso, simile a un insetto che si trasforma, essa subisce una metamorfosi. La sua antica organizzazione si dissolve; essa ne lacera con le proprie mani i tessuti più preziosi e cade in convulsioni che sembrano mortali. Poi, dopo molti contrasti e un penoso letargo, si rialza. Ma la sua organizzazione non è più la stessa: per un sordo travaglio interiore un nuovo essere si è sostituito all'antico. Nel 1808 tutti i suoi lineamenti fondamentali sono tracciati, e sono definitivi: dipartimenti, distretti, cantoni e comuni, niente è poi cambiato nelle sue divisioni e suture esterne; concordato, codice, tribunali, università, istituti, prefetti, consiglio di Stato, imposte, esattori, corte dei conti, amministrazione uniforme e centralizzata, i suoi organi principali sono sempre gli stessi; nobiltà, borghesia, operai, contadini, ciascuna classe ha fin d'allora il posto, gli interessi, i sentimenti, le tradizioni che noi le riconosciamo ancor oggi. Così, la nuova creatura è insieme stabile e completa; di conseguenza, la sua struttura, i suoi istinti e le sue facoltà determinano in anticipo il circolo entro il quale si muoverà il suo pensiero e la sua azione.

Ma, sotto questa forma nuova come sotto la forma antica, il debole è sempre preda del più forte. […]

Antico regime, Rivoluzione, nuovo regime: cercherò di descrivere con esattezza questi tre stadi. [...]

 

Agosto 1875

 

***


En 1849, ayant vingt et un ans, j’étais électeur et fort embarrassé ; car j’avais à nommer quinze ou vingt députés, et de plus, selon l’usage français, je devais non seulement choisir des hommes, mais opter entre des théories. On me proposait d’être royaliste ou républicain, démocrate ou conservateur, socialiste ou bonapartiste : je n’étais rien de tout cela, ni même rien du tout, et parfois j’enviais tant de gens convaincus qui avaient le bonheur d’être quelque chose. Après avoir écouté les diverses doctrines, je reconnus qu’il y avait sans doute une lacune dans mon esprit. Des motifs valables pour d’autres ne l’étaient pas pour moi ; je ne pouvais comprendre qu’en politique on pût se décider d’après ses préférences.
Mes gens affirmatifs construisaient une constitution comme une maison, d’après le plan le plus beau, le plus neuf ou le plus simple, et il y en avait plusieurs à l’étude, hôtel de marquis, maison de bourgeois, logement d’ouvriers, caserne de militaires, phalanstère de communistes, et même campement de sauvages. Chacun disait de son modèle : « Voilà la vraie demeure de l’homme, la seule qu’un homme de sens puisse habiter ». À mon sens l’argument était faible : des goûts personnels ne me semblaient pas des autorités. Il me paraissait qu’une maison ne doit pas être construite pour l’architecte, ni pour elle-même, mais pour le propriétaire qui va s’y loger. — Demander l’avis du propriétaire, soumettre au peuple français les plans de sa future habitation, c’était trop visiblement parade ou duperie : en pareil cas, la question fait toujours la réponse, et d’ailleurs, cette réponse eût-elle été libre, la France n’était guère plus en état que moi de la donner : dix millions d’ignorances ne font pas un savoir. Un peuple consulté peut à la rigueur dire la forme de gouvernement qui lui plaît, mais non celle dont il a besoin ; il ne le saura qu’à l’usage : il lui faut du temps pour vérifier si sa maison politique est commode, solide, capable de résister aux intempéries, appropriée à ses mœurs, à ses occupations, à son caractère, à ses singularités, à ses brusqueries. Or, à l’épreuve, nous n’avons jamais été contents de la nôtre : treize fois en quatre-vingts ans, nous l’avons démolie pour la refaire, et nous avons eu beau la refaire, nous n’avons pas encore trouvé celle qui nous convient.
Si d’autres peuples ont été plus heureux, si, à l’étranger, plusieurs habitations politiques sont solides et subsistent indéfiniment, c’est qu’elles ont été construites d’une façon particulière, autour d’un noyau primitif et massif, en s’appuyant sur quelque vieil édifice central plusieurs fois raccommodé, mais toujours conservé, élargi par degrés, approprié par tâtonnements et rallonges aux besoins des habitants. Nulle d’entre elles n’a été bâtie d’un seul coup, sur un patron neuf, et d’après les seules mesures de la raison. Peut-être faut-il admettre qu’il n’y a pas d’autre moyen de construire à demeure, et que l’invention subite d’une constitution nouvelle, appropriée, durable, est une entreprise qui surpasse les forces de l’esprit humain.
En tout cas, je concluais que, si jamais nous découvrons celle qu’il nous faut, ce ne sera point par les procédés en vogue. En effet, il s’agit de la découvrir, si elle existe, et non de la mettre aux voix. À cet égard, nos préférences seraient vaines ; d’avance la nature et l’histoire ont choisi pour nous ; c’est à nous de nous accommoder à elles, car il est sûr qu’elles ne s’accommoderont pas à nous. La forme sociale et politique dans laquelle un peuple peut entrer et rester n’est pas livrée à son arbitraire, mais déterminée par son caractère et son passé. Il faut que, jusque dans ses moindres traits, elle se moule sur les traits vivants auxquels on l’applique ; sinon elle crèvera et tombera en morceaux. C’est pourquoi, si nous parvenons à trouver la nôtre, ce ne sera qu’en nous étudiant nous-mêmes, et plus nous saurons précisément ce que nous sommes, plus nous démêlerons sûrement ce qui nous convient. On doit donc renverser les méthodes ordinaires et se figurer la nation avant de rédiger la constitution. Sans doute, la première opération est beaucoup plus longue et plus difficile que la seconde. Que de temps, que d’études, que d’observations rectifiées l’une par l’autre, que de recherches dans le présent et dans le passé, sur tous les domaines de la pensée et de l’action, quel travail multiplié et séculaire, pour acquérir l’idée exacte et complète d’un grand peuple qui a vécu âge de peuple et qui vit encore ! Mais c’est le seul moyen de ne pas construire à faux après avoir raisonné à vide, et je me promis que, pour moi du moins, si j’entreprenais un jour de chercher une opinion politique, ce ne serait qu’après avoir étudié la France.
Qu’est-ce que la France contemporaine ? Pour répondre à cette question, il faut savoir comment cette France s’est faite, ou, ce qui vaut mieux encore, assister en spectateur à sa formation. À la fin du siècle dernier, pareille à un insecte qui mue, elle subit une métamorphose.. Son ancienne organisation se dissout ; elle en déchire elle-même les plus précieux tissus et tombe en des convulsions qui semblent mortelles. Puis, après des tiraillements multipliés et une léthargie pénible, elle se redresse. Mais son organisation n’est plus la même : par un sourd travail intérieur, un nouvel être s’est substitué à l’ancien. En 1808, tous ses grands traits sont arrêtés et définitifs : départements, arrondissements, cantons et communes, rien n’a changé depuis dans ses divisions et sutures extérieures : Concordat, Code, Tribunaux, Université, Institut, Préfets, Conseil d’État, impôts, percepteurs, Cour des Comptes, administration uniforme et centralisée, ses principaux organes sont encore les mêmes ; noblesse, bourgeoisie, ouvriers, paysans, chaque classe a dès lors la situation, les intérêts, les sentiments, les traditions que nous lui voyons aujourd’hui. Ainsi la créature nouvelle est à la fois stable et complète ; partant, sa structure, ses instincts et ses facultés marquent d’avance le cercle dans lequel s’agitera sa pensée ou son action. Autour d’elle, les autres nations, les unes précoces, les autres tardives, toutes avec des ménagements plus grands, quelques-unes avec succès meilleur, opèrent de même la transformation qui les fait passer de l’état féodal à l’état moderne ; l’éclosion est universelle et presque simultanée. Mais, sous cette forme nouvelle comme sous la forme ancienne, le faible est toujours la proie du fort. […]
Ancien Régime, Révolution, Régime nouveau, je vais tâcher de décrire ces trois états avec exactitude. […]

Menthon-Saint-Bernard, août 1875