J.-P. SARTRE

 

Autoritratto a settant'anni




Ogni uomo è politico. Ma questo l’ho scoperto, per quanto mi riguarda, soltanto con la guerra, e l’ho capito veramente solo a partire dal 1945.
Prima della guerra mi consideravo semplicemente un individuo e non scorgevo assolutamente il legame che c’era fra la mia esistenza individuale e la società nella quale vivevo. Uscito dalla Scuola normale, avevo elaborato tutta una teoria in proposito: ero l’”uomo solo” vale a dire l’individuo che s’oppone alla società con l’indipendenza del suo pensiero, ma che non deve nulla alla società e nei confronti del quale quest’ultima è impotente, perché è libero. Questa è l’evidenza su cui ho fondato tutto quel che pensavo, che scrivevo e che vivevo prima del 1939. Prima della guerra non avevo opinioni politiche e, naturalmente, non votavo. […]

E infine mi trovavo sufficientemente ben collocato nella mia situazione di scrittore antiborghese e individualista.
Quel che ha mandato in frantumi tutto questo è stato l’aver ricevuto, un giorno di settembre del 1939, un foglio di mobilitazione; sono così stato obbligato ad andare alla caserma di Nancy ad unirmi a dei ragazzi che non conoscevo e che come me erano mobilitati. È questo che ha introdotto il sociale nella mia testa: ho capito improvvisamente ch’ero un essere sociale quando mi sono visto sradicato dal luogo in cui ero, sottratto alle persone che per me contavano, e condotto in treno da qualche parte dove non avevo nessuna voglia d’andare, con dei ragazzi che non ne avevano più voglia di me e che si chiedevano in che modo si era arrivati là […]. Fino a quel momento mi ero creduto una libertà sovrana ed è stato necessario che m’imbattessi, attraverso la mobilitazione, nella limitazione della mia libertà perché prendessi coscienza dell’importanza della gente e dei miei legami con tutti gli altri e di tutti gli altri con me.