MARTIN HEIDEGGER

(1889-1976)

 

Einleitung in die Philosophie

 

[Introduzione alla filosofia]

 

(1944)

 

 

 

§ 1. L’impossibilità di una introduzione nella filosofia

 

Chi si propone una «introduzione alla filosofia» presuppone che coloro i quali devono essere introdotto nella filosofia stiano innanzitutto fuori della filosofia. Quest’ultima passa perciò a sua volta per un ambito di cognizioni e proposizioni situato in una qualche zona che forse molti uomini, nel tempo della loro vita, trascurano, e dalla quale restano quindi esclusi. Questa rappresentazione della filosofia è in effetti molto diffusa, però non coglie l’essenza della filosofia, in quanto per la filosofia non esiste un tale fuori che, separato dall’essere umano, possa costituire la dimora della filosofia entro la quale poi l’uomo debba recarsi per essere nella filosofia.

In verità l’uomo storico, poiché è essenziabile, sta già sempre nella filosofia (In Wahrheit steht der geschichtliche Mensch immer schon, weil wesenhaft, in der Philosophie). Ecco perché, a rigore, non c’è «intro-duzione» nella filosofia. Ma in che modo è nella filosofia l’uomo storico? Non certo solo perché fa uso di cognizioni filosofiche, trasmessegli da qualche parte. L’uomo storico pensa in base a ciò che proviene dal passato e a ciò che avviene dal futuro, pensa a provenienza e avvenire, rimemorando questo e quella. Nell’orizzonte di questo ri-pensamento, egli pensa di volta in volta ciò che è presente. Nella misura in cui pensa il passato, il futuro, il presente, l’uomo pensa l’essente in totale secondo tutte le modalità dell’essere. Quando l’uomo pensa ciò che è – e, in un modo o nell’altro, lo pensa costantemente –, egli pensa anche e ha già sempre pensato ciò che è stato e ciò che verrà.

Pensando in questo modo, l’uomo si muove ovunque già in quel pensare che dall’antichità si chiama o «filosofia». L’uomo «filosofa» in quanto è l’uomo ri-pensante. Muovendosi in questo tipo di pensare, l’uomo soggiorna nella contrada di ciò che per tale pensare rimane il pensando. Questo pensando – e sempre anche, in qualche modo, già pensato – è il luogo del soggiorno per l’uomo nella misura in cui filosofa. Questo luogo di soggiorno è la filosofia.

Noi crediamo di sapere in quale luogo e spazio stiano le case, in quale luogo crescano gli alberi. Non pensiamo invece al luogo in cui la filosofia, il pensare, in quale luogo l’arte, sono ciò che sono. Né tantomeno pensiamo che la filosofia, l’arte, possano essere di volta in volta esse stesse luoghi di soggiorno dell’uomo.

Diciamo allora: l’uomo storico è già nella filosofia. L’uomo non ha più bisogno di essere introdotto nella filosofia. Non vi può mai essere trasportato, non si può trasferirlo in essa da altri luoghi. Ma se le cose stanno davvero così, allora tutti gli uomini sono «filosofi» (dann sind alle Menschen Philosophen) – o, come anche diciamo noi, «pensatori». E lo sono anche in un modo determinato. L’uomo è tra tutti gli essenti, l’essente che pensa. L’uomo è 1’essente pensante. Per questo, e solo per questo, possono e devono esserci tra gli uomini dei pensanti in un senso eminente – noi diciamo: «i pensatori». Ma per questo, ed esclusivamente per questo, solo tra gli uomini c’è anche la spensieratezza [nel senso di sconsideratezza], che ha sempre la sua radice in un’assenza di meditazione.

 

 

§ 2. Il bisogno di essere condotti alla dimestichezza con il pensare autentico

 

Secondo quanto abbiamo detto, filosofare è pensare, e ogni pensare e già in qualche modo un filosofare (Nach dem Gesagten ist das Philosophieren das Denken und jedes Denken ist schon irgendwie ein Philosophieren). La filosofia appartiene, in una modalità anzitutto non meglio determinata, alla contrada stessa entro la quale l’uomo soggiorna come l’essere pensante-ripensante. Ma al luogo in cui soggiorna secondo la propria essenza, l’uomo può invero abituarsi oppure no. Il soggiorno abituale nel luogo a cui l’uomo appartiene noi lo chiamiamo: l’abitare. Quindi l’uomo storico soggiorna sempre nella filosofia, sì, ma solo raramente si abitua a essa. Non abita in essa. Da qui il bisogno di essere condotto alla dimestichezza con essa. Mediante questa conduzione il nostro pensare, che non sempre è di casa in ciò che gli è più proprio, impara l’abitare e diviene così un pensare più proprio e autentico. La conduzione al pensare deve preoccuparsi solo di ciò: che noi, che siamo già pensanti, diveniamo più pensanti (denkender werden). Ecco perché anche appropriazione della filosofia, correttamente intesa, non significa mai imprimersi nella mente – così spesso solo in maniera faticosa e sterile – concetti e dottrine che un giorno dimenticheremo (Sicheinprägenbefremdlicher Begriffe und Lehrmeinungen, die wir eines Tages wieder vergessen).

Con la conduzione alla filosofia non dobbiamo affatto abbandonare il pensare quotidiano immediato, al contrario (Durch die Anleitung zur Philosophie sollen wir das unmittelbare tägliche Denken keineswegs preisgeben): in questo pensare quotidiano noi, gli esseri pensanti, dobbiamo diventare più pensanti, e cioè più pensosi, più ri-pensanti, e perciò imparare a pensare autenticamente (eigentlich denken lernen). La filosofia non è ciò che pur ancora e comunque sembra essere: quella che sta a margine o addirittura al di la della vita «autentica». Piuttosto la filosofia, in quanto pensare autentico, è la contrada – pur ancora e comunque ignota – in cui il pensare usuale soggiorna costantemente senza esserne esperto, e senza avere dimestichezza con essa come con la proprietà che è stata assegnata all’essenza dell’uomo in quanto questi è il pensante.

 

tr. it. Bompiani 2009