LA METAFISICA


di Maurice Merleau-Ponty 

 

 

C'è metafisica a partire dal momento in cui, cessando di vivere nell'evidenza dell'oggetto - che si tratti dell'oggetto sensoriale o dell'oggetto di scienza - scorgiamo indissolubilmente la soggettività radicale di tutta la nostra esperienza ed il suo valore di verità. La nostra esperienza è nostra, il che significa due cose: che non è la misura di ogni essere in sé immaginabile, e che tuttavia è coestensiva ad ogni essere di cui possiamo aver nozione.

 

[...]

 

Quando colloco fuori dell'esperienza progressiva il fondamento della verità o della moralità, le travesto in certezze assolute, ed allora lasciò il verificabile per la verità, ossia la preda per l'ombra. Se invece ho capito che verità e valore possono essere per me soltanto il risultato delle nostre verificazioni e delle nostre valutazioni a contatto con il mondo, dinanzi agli altri e in situazioni di conoscenza e d'azioni date, che anche queste nozioni perdono ogni senso fuori delle prospettive umane, allora il mondo riacquista rilievo, gli atti particolari di verificazione e di valutazione nei quali riafferro un'esperienza dispersa ri-assumono importanza decisiva, c'è qualcosa di irrecusabile nella conoscenza e nell'azione, di vero e di falso, di bene e di male, appunto perché non pretendo di trovarvi l'evidenza assoluta.

 

La metafisica non è una costruzione di concetti con i quali cercheremmo di rendere meno sensibili i nostri paradossi; ma è l'esperienza che ne facciamo in ogni situazione della storia personale e collettiva, e delle azioni che, assumendole, le trasformano in ragione.

 

È un'interrogazione tale da non concepire una risposta che l'annulli, ma solo azioni risolute che la riportino più in là.

 

[M. Merleau-Ponty, Il metafisico nell'uomo, in Senso e non senso, Il saggiatore, pp. 116-119]