Lo sviluppo di due posizioni antitetiche

in seguito alla sintesi operata da Kant:

 

l'Idealismo e il Nichilismo


(XIX - XX)

 

 

Se volessimo in una prima sintesi indicare che cosa ha caratterizzato la cultura degli ultimi due secoli, due nomi dovrebbero essere irrinunciabili: Idealismo e Nichilismo. Il primo nome dovrebbe indicare la consapevolezza lentamente acquisita che la realtà non è indipendente dal suo essere pensata, il secondo nome invece l’inconsistenza e l’arbitrarietà della stessa realtà una volta che essa dipenda “da come la si pensa”. Se la realtà non è più criterio indipendente dal pensiero capace perciò di stabilirne la correttezza – l’adeguazione a se stessa – ella si frantuma nell’infinità dei pensieri, delle culture, delle epoche. Che negli ultimi anni vi sia stata una piena nichilistica non è difficile rilevarlo, basterebbe il nome con cui la cultura oggi dominante si nomina: postmoderna – a sottolineare la sua rottura con il moderno, individuato proprio con la possibilità di un’unità al di là degli infiniti particolarismi. Unità che nel Postmoderno non è invece più rintracciabile. Il libercolo che a posteriori è stato considerato il manifesto di questo indirizzo culturale, La condizione postmoderna [1] di Lyotard, indica in Hegel l’ultimo rappresentante del moderno, oltre il quale non vi sarebbero più state le grandi narrazioni unitarie che hanno caratterizzato la tradizione: è così che la mancanza di sistema che si inaugura con Nietzsche diviene un tratto inevitabile della concezione postmoderna. Quanto appena ricordato è però solo un sintomo di una fase acuta dell’epidemia nichilista, che non può non vederci preoccupati, ma che può essere superata – questo l’intento che guida le nostre ricerche – iniziando a ricollocarla entro una migliore prospettiva. Quella prospettiva che sappia vedere nell’Idealismo e nel Nichilismo non due filosofie inconciliabili, ma due momenti del fare i conti con quello stesso problema che si impone con Kant e che viene sintetizzato in una formula da Schopenhauer: «il mondo è una mia rappresentazione»[2]. Ma il filosofare in grande stile non è venuto meno negli ultimi due secoli: anche un occhio appena convalescente saprebbe riconoscere grandiosi sistemi nell’opera di Nietzsche e di Heidegger, come nondimeno nell’opera di Croce e di Gentile. Tutte queste filosofie sono state tutte tentativi ben riusciti di superare una visione razionalistica, illuministica e positivistica del sapere e del mondo, che si proponeva di vedere le cose “così come stanno”. Il maggiore sforzo del pensiero che ha occupato la filosofia moderna fino ad oggi è stato il tentativo di pensare l’essere non più in termini realistici, bensì in termini trascendentali. Proprio la difficoltà e lo scandalo di questo tentativo hanno condotto a una disillusione che conosciamo nelle forme della disperazione nichilista e dell’abbandono relativistico. Negli autori che nominiamo “idealisti” è presente una maggiore capacità costruttiva che evidenzia la positività di una nuova visione trascendentale e considera quella realistica superata, mentre gli autori “nichilisti” pensano maggiormente evidenziando l’impossibilità di servirsi delle categorie ereditate, impossibili proprio perché presuppongono una concezione realistica e razionalistica del mondo. Mentre l’Idealismo vede il positivo della negazione delle categorie realistiche, il nichilismo non riesce a ricostruire in direzione di un loro superamento e rimane perciò confinato nel perimetro della negazione. I modi in cui il positivo e il negativo del superamento del realismo si danno sono naturalmente i più vari e diversamente presenti in ciascun autore. Per agevolazione esemplificativa, per meglio circoscrivere il problema, abbiamo quindi deciso di chiamare l’uno “idealista”, l’altro “nichilista” – proprio per indicare due direzioni orientative. La complessità con cui nuovo e vecchio, speranza e delusione, slancio e abbandono si compenetrano ha naturalmente in ciascuna fase e in ciascun uomo una propria peculiarità. Ma uno degli intenti di Ricerca AM sarà di mostrare come il Postmoderno – questo l'ultimo nome che il Nichilismo si è dato dopo i numerosi precedenti: Relativismo, Esistenzialismo, Strutturalismo) – rientri a pieno titolo nella Modernità, non aprendo a nuove prospettive di là da essa, ma rimanendovi legato in un improduttivo pensare astratto; e come, invece, nella dimenticata tradizione idealistica, specie quella italiana del Novecento, vi sia celata la retta teoresi per una rinnovata possibilità di un pensare in grande stile che riconosca il suo valore e dia valore.

 

Tratto da Trilogia sul fondamento