LA SVOLTA

nel rapporto tra


FEDE E RAGIONE

 

Sarà un trattatello a rivelarsi decisivo per il prosieguo della storia occidentale, vero e proprio spartiacque ideale, che determinerà il prodursi di quell'atteggiamento, nuovo e inaudito, che agirà nella storia occidentale fino a dilagare con l'illuminismo europeo. Il trattato decisivo sull'accordo della religione con la filosofia di Averroè esordisce con un topos proprio anche della filosofia scolastica: conoscere il mondo creato da Dio è certamente una parte della conoscenza di Dio. Queste le parole del filosofo di Cordova:

 

«Ogni attività filosofica altro non è che speculazione sugli esseri viventi, e riflessione su come, attraverso la considerazione che sono creati, si pervenga a dimostrare il creatore: infatti, gli esseri esistenti sono prodotti, per cui dimostrano di avere un produttore. Tale conoscenza relativa alla produzione delle cose, tanto più è completa quanto più consente una conoscenza completa di Colui che le ha prodotte. La Legge religiosa autorizza, e anzi stimola, la riflessione su ciò che esiste, per cui è evidente che l’attività indicata col nome (di filosofia) è considerata necessaria dalla Legge religiosa o, per lo meno, ne è autorizzata»[1].

 

Si richiama con ciò pure l'invito alla speculazione presente nella tradizione musulmana nel Corano e nei Detti del Profeta, presente anche nella tradizione cristiana, basti pensare a Tommaso[2]. Si ricordano così alcuni versetti del Corano in cui si esorta alla ricerca filosofica:

 

«Che la Legge religiosa chiami a un’indagine intellettuale sugli esseri esistenti e richieda (di pervenire) a una conoscenza su di essi, appare chiaro da parecchi versetti del Libro di Dio Benedetto ed Eccelso, tra i quali per esempio il seguente: «Riflettete, o voi che avete occhi a guardare!» [...] «E così mostrammo ad Abramo il regno dei cieli e della terra perché fosse di quei che solidamente son convinti» [...] «Ma non guardano dunque gli uomini al cammello, come fu creato, e al cielo, come fu innalzato?»[3].

 

Tutto questo giustifica non solo l'uso della ragione nella sfera religiosa, ma legittima, favorisce per di più, lo studio di chi, anche se non musulmano, ci ha preceduto nell’indagine razionale. L'apertura dimostrata dalle parole di Averroè non ammette eccezioni:

 

«Per cui, se qualcuno si è già preso la cura di indagare sul ragionamento razionale, è ovvio che ci competa, per quanto ci poniamo sulla stessa strada da lui percorsa, di far riferimento a ciò che il nostro predecessore ha già affermato, si tratti di qualcuno che professa la nostra stessa religione oppure no [...]. E l'Altissimo ha ben chiarito tutto ciò dicendo: "Chiama gli uomini alla via del Signore, con saggi ammonimenti e buoni, e discuti con loro nel modo migliore"»[4].

 

È chiaro dall'esordio del trattato che il contenuto rivelato e quello mostrato dal pensiero razionale non potranno contrastare perché strettamente legati, perché la realtà a cui la retta ragione giunge è creazione di Dio. Tommaso a riguardo non è da meno, come vedremo, e sottoscriverebbe le affermazioni del trattato che seguono:

 

«Ora, dal momento che la nostra religione è vera e incita a un'attività speculativa che culmini nella conoscenza di Dio, noi musulmani non possiamo che essere fermamente convinti del fatto che la speculazione dimostrativa non può condurre a conclusioni diverse da quelle rivelate dalla religione, poiché il Vero non può contrastare col Vero, ma anzi gli si armonizza e gli porta testimonianza»[5].

 

Giammai però, sottoscriverebbe Tommaso le parole di Averroè che seguono, che si stagliano rivoluzionarie e indelebili per la storia successiva:

 

«Ma se contrasta, si presenta la necessità di un'interpretazione allegorica delle Scritture. Interpretazione allegorica significa trasporto dell’argomentazione da un piano reale a uno metaforico – senza con ciò derogare dalle norme linguistiche arabe nell’uso della metafora –, in modo da definire qualcosa o con un sinonimo o facendo riferimento alla sua causa o al suo effetto o a qualcos’altro che gli si può porre a confronto, o insomma a tutte quelle particolarità che sono reperibili nei vari tipi di discorso metaforico»[6].

 

In questa maniera, in queste parole si è consumato il distacco tra il contenuto della fede e il contenuto della ragione; alla ragione viene attribuita un'indipendenza del tutto nuova, le si concede di alzarsi e di andarsene con le proprie gambe, per sviluppare tutta la sua potenza, ancora una volta, fin dove saprà arrivare. La fiducia nella ragione e nel Vero che essa può raggiungere è tale che, una volta conseguito, sarà il Vero della rivelazione che dovrà essere pensato alla luce di quello. Il testo sacro dovrà piegarsi alle rivelazioni della ragione e trasfigurare il proprio contenuto per potersi adattare ad essa.

Ma come si era caratterizzato precedentemente il rapporto tra fede e ragione perché Averroè possa essere considerato un momento rivoluzionario e un nuovo inizio? Possiamo individuare idealmente sei tappe fondamentali della storia del rapporto tra fede e ragione, la quarta delle quali rappresenta il momento di svolta segnato da Averroè.


ZUPPA, Gabriele, Le origini della scienza occidentale nella mistica dell'Islam, in PANNO, Giovanni (a cura di), Il silenzio degli angeli. Il ritirarsi di Dio nella mistica medievale e nelle sue riscritture moderne, Unipress, Padova 2008, pp. 25 -28

 

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