IL COMPITO DEL TRADUTTORE
di Walter Benjamin

tradotto da Antonello Sciacchitano e
pubblicato in “Aut Aut”, 334, 2007, pp. 7-20 

 

 

Nelle traduzioni la parentela delle lingue non si annuncia come vaga somiglianza tra l’originale e la riproduzione. Evidentemente, in generale, la parentela non si accompagna necessariamente alla somiglianza. In proposito, in questo contesto il concetto di parentela concorda con il significato più ristretto di quello che in entrambi i casi [delle lingue e delle famiglie] può solo insufficientemente venir definito dall’uguaglianza della discendenza, benché il concetto di discendenza rimanga indispensabile proprio per determinare il significato più ristretto. Dove cercare la parentela di due lingue, prescindendo da quella storica? Non nella somiglianza delle poesie o delle parole. Piuttosto la parentela sovrastorica delle lingue poggia sul fatto che in ciascuna di esse, considerata come un tutto, si intenda una sola e identica cosa, che tuttavia non è accessibile a nessuna, se considerata singolarmente, ma solo alla totalità delle loro intenzionalità [Intention] reciprocamente integrate: la pura lingua. Per comprendere esattamente questa legge – una delle leggi fondamentali della filosofia del linguaggio –bisogna distinguere nell’intenzionalità tra ciò che si intende e il modo di intenderlo. In Brot e pain ciò che si intende è lo stesso, ma il modo di intenderlo è diverso. Nel modo di comprendere troviamo, infatti, che le due parole significano qualcosa di diverso in tedesco e in francese, che non sono intercambiabili per entrambi e che in ultima analisitendono a escludersi. Ma a livello di ciò che si intende troviamo che esse, considerate in assoluto, significano la stessa e identica cosa. Mentre i modi di intendere in queste due parole si contrappongono reciprocamente, essi si integrano nelle due lingue di origine eprecisamente si integrano in ciò che si intende. 
Nelle singole lingue non integrate ciò che si intende non è mai relativamente indipendente, per esempio nelle singole parole o frasi, ma è concepito in continuo divenire, finché dall’armonia dei modi di intendere non emerge come pura lingua. Fino ad allora rimane nascosto nelle lingue. Ma se le lingue crescono in questo modo fino alla fine messianica della loro storia, è alla traduzione, che si accende per la sopravvivenza delle opere e l’infinita risorgenza delle lingue, che tocca di nuovo mettere alla prova la sacra crescita delle lingue, testimoniando quanto il loro segreto sia lontano dalla rivelazione e quanto possa diventare presente nel sapere di tale lontananza.

[...]

Il compito del traduttore va inteso come compito a sé, nettamente distinto da quello del poeta. Compito del traduttore è di trovare quell’intenzione rispetto alla lingua di arrivo dovesi ridesti l’eco dell’originale. Qui sta il tratto assolutamente distintivo della traduzione rispetto all’opera poetica, la cui intenzione non è mai diretta alla lingua come tale nellasua totalità ma solo e immediatamente a certe connessioni linguistiche di contenuto [particolare]. La traduzione non si trova come la poesia dentro alla foresta dellinguaggio, ma fuori e di fronte. Senza entrarvi richiama l’originale in quell’unico posto dove l’eco nella propria offra di volta in volta risonanza all’opera in lingua straniera. La sua intenzione non è rivolta solo a qualcosa d’altro rispetto alla poesia, precisamente alla lingua in toto a partire dalla singola opera d’arte in lingua straniera, ma è in se stessa diversa. Quella del poeta è un’intenzione ingenua, primitiva, intuitiva, quella del traduttore è derivata, ultima, tutta ideale. Il pensiero dominante di integrare le molte lingue in una sola, quella vera, colma il lavoro del traduttore. È un lavoro in cui le singole proposizioni, poesie, giudizi non arrivano mai a comprendersi – rimanendo così dipendenti dalla traduzione – ma è anche un lavoro in cui le lingue arrivano ad accordarsi, conciliate e integrate nel modo di significare. Ma se esistesse la lingua della verità, in cui si conservano senza tensioni e senza parole i segreti ultimi intorno a cui si affatica ogni pensiero, sarebbe questa lingua della verità la vera lingua. Proprio lei, nel cui presentimento giace la sola perfezione che il filosofo può sperare per sé, intensivamente latente nelle traduzioni.
 
La traduzione è a metà strada tra la poesia e la dottrina.