Don Bruno Forte

 

"Nichilismo e alterità"

 

 

Dall'intervista Filosofia e teologia in dialogo

Napoli, Vivarium, 26 marzo 1993

 

Il tempo delle modernità, il tempo della ragione totalizzante è anche il tempo del trionfo dell'identità, non a caso la "Fenomenologia dello spirito" di Hegel si chiude con una immagine potente tratta dalla poesia di Schiller, l'immagine di un calice che trabocca, che, in qualche modo, continuamente riproduce la sua "Unendlichkeit", la sua infinità. Ebbene, questa immagine dice esattamente come il mondo dell'identità assoluta, il mondo di una ragione totalizzante - che è poi la matrice delle varie forme di ideologia che hanno caratterizzato la modernità sul versante della sinistra come su quello della destra hegeliana- questo mondo ha celebrato una sorta di trionfo bacchico dove l'altro alla fine veniva perduto e assorbito nella potenza del Dio totalizzante, dello spirito totalizzante. Il problema oggi dopo la crisi anche storica di questo modello è riscoprire l'altro, ma riscoprirlo come? È evidente che questa domanda può sfociare anche in una sorta di nuova esperienza del nichilismo, dopo il lungo oblio dell'essere, il "Sein" di cui parla Heidegger, potrebbe esserci un nuovo oblio del senso e questo oblio del senso potrebbe essere: caduta, abbandono, rinuncia, le forme del nichilismo post-moderno. Vanno in questa direzione il pensiero debole, che esplicitamente parla di un essere che non è ma accade, cioè precipita continuamente nel nulla. Accanto però a questo possibile esito della crisi del moderno, della dialettica dell'illuminismo mi sembra di poter intravedere un'altra forma, un altro esito: quello della ricerca che io amo chiamare la ricerca del senso perduto, non in una forma quasi nostalgica di passati che non ritornano più ma in tutt'altra direzione in quella forma che Ernst Bloch per esempio chiama il "principio speranza" e cioè nell'apertura verso un'alterità non catturata non afferrata; è qui che mi sembra oggi ci troviamo di fronte alla caduta della totalità ideologica del moderno: l'altro e la sua alterità semplice, pura, forte che ci interroga, che essa si affacci nel volto d'altri come ci richiama a pensare Levinas, o che essa si affacci nell'inquietudine di un inizio imprendibile, come per esempio, qui, in Italia, afferma un Cacciari; che essa si affacci nel Dio della speranza cristiana come la teologia, soprattutto della speranza, che il nostro tempo indica. È comunque una coralità di tracce, di ricerche dell'altro che oggi noi possiamo evidenziare.

 

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