CHE COS'È IL BELLO?

tratto dall'
Ippia maggiore di Platone




SOCRATE: Ippia, ora dunque rispondimi in breve su una cosa che mi hai fatto ricordare al momento giusto. Recentemente, carissimo, in alcune discussioni, mentre biasimavo alcune azioni come vergognose e ne elogiavo altre come  belle, un tale mi mise in difficoltà facendomi pressapoco questa domanda con molta arroganza: «Socrate», disse, «dimmi, come sai quali cose sono belle e quali brutte? Suvvia, potresti dire cos'è ilbello?». E io a causa della mia ignoranza mi trovai in difficoltà  e non seppi rispondergli a modo; dunque, allontanandomi dalla discussione, ero arrabbiato con me stesso, mi rimproveravo e mi ripromettevo che, la prima voltache mi fossi imbattuto in qualcuno di voi sapienti, dopo aver ascoltato e imparato con molta attenzione, sarei andato di nuovo da colui che mi aveva interrogato per ricominciare la discussione. Ora dunque, cosa che appunto dico, giungi almomento opportuno: insegnami in maniera adeguata che cosa è il bello e cerca di parlare nel modo più esatto possibile rispondendomi, perché io non mi renda nuovamente ridicolo con il farmi confutare per la seconda volta. Infatti tuchiaramente certo lo sai e questo, credo, sarebbe un piccolo insegnamento tra i molti che conosci.

IPPIA: Piccolo davvero, per Zeus, e senza importanza, per così dire.

 

SOCRATE: Allora io lo apprenderò facilmente e nessuno mi confuterà più.

 

IPPIA: Certo, nessuno, perché il mio compito altrimenti sarebbe insignificante e da ignoranti.

 

SOCRATE: Dici bene, per Era, Ippia, se vinceremo quell'uomo. Ebbene, non ti sono d'ostacolo se lo imito, qualora, mentre rispondi, io muova delle obiezioni ai tuoi discorsi, perché tu riesca a istruirmi quanto più è possibile? Infatti ho una certa esperienza nel contraddire. Se dunque non ti importa, voglio fare delle obiezioni, per impadronirmi del sapere in modo più saldo.

 

IPPIA: Fai pure delle obiezioni. Infatti, cosa che ho appena detto, la domanda non è impegnativa e  io potreiinsegnarti a rispondere a  domande ben più difficili di questa e in modo tale che nessuno  potrebbe confutarti.

 

SOCRATE: Oh come parli bene. Su, poiché anche tu lo chiedi, tenterò  di interrogarti immedesimandomi quanto più è possibile in lui. Se infatti tu gli leggessi questo discorso di cui parli, cioè quello  che riguarda le belle occupazioni,dopo averlo udito, non appena tu smettessi di parlare, egli non interrogherebbe su altro prima che sul bello - infatti ha questa abitudine - e direbbe:  «Straniero di Elide, forse i giusti non sono giusti per la loro giustizia?». Rispondi, Ippia,come se fosse lui a interrogarti.

 

IPPIA: Risponderò che sono giusti per la loro giustizia.

 

SOCRATE: «E la giustizia non è qualcosa?»

 

IPPIA: Certo.

 

SOCRATE: «E anche i sapienti non sono forse sapienti per la loro sapienza e tutti i beni non sono beni per il bene?» 

 

IPPIA: Come no?

 

SOCRATE: «Perché queste cose sono qualcosa e non certo perché non lo sono».

 

IPPIA: In quanto lo sono, certo.

 

SOCRATE: «Dunque allora anche tutte le cose belle non sono belle per il bello?»

 

IPPIA: Certo, per il bello.Platone

 

SOCRATE: «Che è qualcosa?»

 

IPPIA: Lo è: perché no?

 

SOCRATE: «Dimmi allora, straniero», chiederà: cos'è questo bello?»

 

IPPIA: Socrate, dunque colui che fa questa domanda cos'altro ha bisogno di sapere salvo che cosa è bello?

 

SOCRATE: Non mi sembra, ma che cosa è il bello, Ippia.

 

IPPIA: E quale differenza c'è tra le due cose?

 

SOCRATE: Ti sembra che non ce ne sia nessuna?

 

IPPIA: Infatti non c'è.

 

SOCRATE: Ma è certo chiaro che la questione la conosci più a fondo, tuttavia, caro mio, rifletti: infatti ti chiede non che cosa sia bello ma che cosa sia il bello.

 

IPPIA: Capisco, caro mio, e gli risponderò che cosa è il bello e non sarò mai confutato. Infatti, Socrate, sappi bene che, se occorre dire la verità, una bella ragazza è una cosa bella.

 

SOCRATE: Per il cane, Ippia, hai risposto bene, anzi eccellentemente. Forse, se io rispondo in questo modo, avrò risposto correttamente alla  domanda e non sarò mai confutato?

 

IPPIA: Socrate, come potresti essere confutato su ciò che è condiviso da tutti e di cui tutti coloro che ascoltano confermeranno che parli correttamente?

 

SOCRATE: E sia: senza dubbio le cose stanno così. Su, Ippia, imparo tra me e me ciò che dici. Egli mi interrogherà pressapoco così : «Su Socrate, rispondimi: tutte queste cose che tu dici essere belle sarebbero belle dal momento che esiste il bello in sé?». Io dunque gli risponderò che se una bella fanciulla è una cosa bella, esiste ciò per cui queste cose sarebbero belle?

 

IPPIA: Credi dunque che egli tenterà  ancora di confutarti provando che non è bello ciò che dici o forse, qualora tentasse di farlo, non si renderebbe ridicolo?

 

SOCRATE: So bene che tenterà, ammirabile amico, e se dopo averci provato risulterà  ridicolo, saranno  le circostanze stesse a mostrarlo.Voglio riferirti ciò che certamente dirà.

 

IPPIA: Parla.

 

SOCRATE: «Come sei piacevole», dirà, «Socrate. Non è una cosa bella una bella cavalla, che anche il Dio ha lodato nell'oracolo?».Cosa diremo, Ippia? Non dobbiamo forse ammettere che anche la cavalla, almeno quella bella, è cosa bella? Infatti come oseremmo dire che il bello non è bello?

 

IPPIA: Dici il vero, Socrate; dunque anche il Dio ha parlato correttamente, poiché da noi ci sono cavalle veramente belle.

 

SOCRATE: «Bene», dirà. «E una bella lira? Non è una cosa bella?» Dobbiamo ammetterlo, Ippia?

 

IPPIA: Certo.

 

SOCRATE: Quindi egli dirà ciò - ne sono quasi sicuro poiché lo intuisco dal suo carattere -: «Carissimo, e una bella pentola? Non è forse una cosa bella?».

 

IPPIA: Socrate, chi è costui? Come è rozzo uno che osa pronunciare parole così  volgari in un contesto serio!

 

SOCRATE: Ippia, è una persona così , non un tipo raffinato, al contrario, un grossolano, uno che non si proccupa di nulla all'infuori della verità. Ma tuttavia bisogna rispondergli e io dico la mia: se la pentola è stata fatta da un bravo vasaio, è liscia, rotonda e ben cotta, come lo sono alcune belle pentole a due anse che contengono sei congi, bellissime, se domandasse com'è una pentola simile, bisogna ammettere che è bella. Infatti come potremmo dire che ciò che è bello non è bello?

 

IPPIA: In nessun modo, Socrate.

 

SOCRATE: «Anche una pentola bella non è forse una bella cosa?», dirà. «Rispondi».

 

IPPIA: Le cose stanno così, credo, Socrate: anche questo oggetto quando è ben fatto è bello, ma nel suo insieme non è giusto giudicarlo bello in paragone a un cavallo, a una fanciulla e a quanto di bello ancora vi sia.

 

SOCRATE: E sia; capisco, Ippia, che occorre muovere obiezioni di questo tipo a colui che fa domande del genere: «Uomo, tu ignori quanto sia giusto il detto di Eraclito "La scimmia più bella è brutta al confronto con il genereumano" e la pentola più bella è brutta al paragone con il genere femminile, come dice Ippia il sapiente». La cosa non sta forse in questi termini, Ippia?

 

IPPIA: Certo, Socrate, hai risposto correttamente.

 

SOCRATE: Ascolta, ora. So bene che dopo queste parole dirà: «E allora, Socrate? Se si paragona il genere femminile a quello degli dèi, non accadrà la stessa cosa che al genere delle pentole paragonato a quello delle ragazze? La fanciulla più bella non sembrerà brutta al confronto con gli dèi? Non dice forse la stessa cosa anche Eraclito, che tu citi: "Il più sapiente degli uomini, paragonato al dio, sembrerà una scimmia in sapienza, in bellezza e in tutte le altre qualità"?». Ippia, concorderemo sul fatto che la fanciulla più bella, paragonata al genere degli dèi, è brutta?

 

IPPIA: Sì , infatti chi potrebbe contraddire questo, Socrate?

 

SOCRATE: E quindi, se ammettiamo questo, egli riderà  e dirà: «Socrate, ti ricordi di ciò che ti ho chiesto?». Io risponderò di sì , mi ha domandato cos'è mai il bello in sé. «Quindi», dirà, «interrogato sul bello rispondi che è ciò che, come tu stesso dici, non è più bello che brutto?». Risponderò che così  pare; o quale risposta mi consigli di dare, amico mio?

 

IPPIA: Questa: e infatti dirà la verità affermando che il genere umano non è bello se paragonato agli dèi.

 

SOCRATE: «Se al principio ti avessi domandato», continuerà a dire, «cosa è bello e cosa è brutto, se tu mi avessi dato le risposte  che hai dato ora, non avresti forse risposto correttamente? E ancora, ti pare che il bello in sé, per cui tutte le altre cose ricevono ornamento e appaiono belle, qualora si aggiunga quell'idea, sia una ragazza o un cavallo o una lira?».

 

IPPIA: Ma Socrate, se cerca questo è la cosa in assoluto più facile rispondergli cos'è il bello, per il quale anche tutte le altre cose ricevono ornamento e appaiono belle, quando esso vi si aggiunge. Dunque egli è del tutto stupido e non è un intenditore di cose belle; infatti se gli rispondi che il bello su cui ti interroga non è altro che l'oro, si troverà  in difficoltà  e non tenterà  di confutarti, poiché tutti, credo, sappiamo chel'oggetto a cui si aggiunga l'oro, anche se prima appariva brutto, sembrerà bello in quanto  ornato d'oro.

 

SOCRATE: Tu non sai, Ippia, quanto quell'uomo sia cocciuto e non accetti nulla con facilità.

 

IPPIA: E allora, Socrate? Infatti egli deve necessariamente accettare ciò che è detto correttamente, altrimenti, se non lo accetta, si renderà ridicolo.

 

SOCRATE: Non solo, carissimo, non accetterà  questa risposta, ma mi prenderà  anche in giro, e molto, e dirà: «Cieco che non sei altro, pensi che Fidia sia un artista scadente?». E io, credo, gli risponderò che non lo penso assolutamente.

 

IPPIA: E dirai bene, Socrate.

 

SOCRATE: Bene, certo. Perciò egli, se io ammetto che Fidia è un buon artista, dirà: «E allora credi che Fidia ignorasse questo  bello di cui tu parli?». Gli domanderò il perché della domanda  e lui risponderà: «Perché non ha fatto d'oro gli occhi d'Atena né il resto del volto o i piedi e le mani; se appunto la sua statua fosse stata d'oro sarebbe apparsa bellissima, invece è d'avorio. Evidentemente ha commesso l'errore per ignoranza, poiché non sapeva che l'oro rende bello tutto ciò a cui venga aggiunto». Pertanto, a chi dice queste cose che possiamo rispondere, Ippia?

 

IPPIA: Non è difficile, infatti diremo che Fidia ha lavorato bene, poiché anche l'avorio, credo, è bello.

 

SOCRATE: «Dunque per quale motivo», chiederà, «non ha fatto d'avorio anche lo spazio tra gli occhi, ma di pietra, anche se aveva trovato una pietra somigliante quanto mai all'avorio? O forse anche la pietra bella è una cosa bella?». Lo diremo, Ippia?

 

IPPIA: Lo diremo, certo, almeno quando la pietra sia usata in modo appropriato.

 

SOCRATE: «Quando non è usata in modo appropriato è una cosa brutta?». Devo ammetterlo o no?

 

IPPIA: Ammettilo quando non è usata in modo appropriato.

 

SOCRATE: «E allora? L'avorio e l'oro», dirà, «tu che sei sapiente, quando sono usati in modo appropriato, fanno apparire belle le cose e, quando non lo sono, le fanno apparire brutte?».Negheremo o ammetteremo con lui che parla correttamente?

 

IPPIA: Ammetteremo questo, che ciò che a ogni cosa si trovi a essere appropriato, la rende bella.

 

SOCRATE: «Dunque», dirà, «quando uno mette sul fuoco la pentola di cui parlavamo poco fa, quella bella, piena di buon passato, è appropriato a essa un mestolo d'oro o uno di legno di fico?».

 

IPPIA: Per Eracle, di che razza di uomo parli, Socrate? Non vuoi dirmi chi è?

 

SOCRATE: Anche se ti dicessi il nome, comunque non sapresti chi è.

 

IPPIA: Ma ora io so che è un ignorante.

 

SOCRATE: Ippia, è assai molesto: comunque, che gli diremo? Quale dei due mestoli è adatto al passato e alla pentola? Non è forse chiaro che è quello di legno? Infatti, credo, rende più saporito il passato e nel contempo, amico mio, verserebbe il passato non facendoci rompere la pentola, non spegnerebbe il fuoco e non farebbe restare i banchettanti privi dì  un ottimo cibo. Invece quello d'oro causerebbe tutti questi disastri, sicché a me sembra  che noi dobbiamo ammettere che è più appropriato il mestolo di legno rispetto a quello d'oro, se non hai nulla da aggiungere.

 

IPPIA: No, infatti, Socrate, mi sembra appropriato: io certo però non discuterei con un uomo che fa simili domande.

 

SOCRATE: Dici bene, caro mio: infatti per te non sarebbe conveniente sporcarti con simili parole, poiché sei così  ben vestito, hai bei calzari, godi di una buona fama per la tua sapienza presso tutti i Greci. A me, invece, non dà assolutamente fastidio avere a che fare con lui: pertanto istruiscimi prima e rispondi per me: «Se dunque il mestolo di legno è più appropriato di quello d'oro», egli dirà, «non sarebbe forse anche più bello, dal momento che, Socrate, hai ammesso che ciò che è appropriato è più bello di ciò che non è appropriato?». Ippia, non dobbiamo forse ammettere che il mestolo di legno è più bello di quello d'oro?

 

IPPIA: Vuoi che io ti dica, Socrate, che cosa devi dire che è il bello per liberarti dai troppi discorsi?

 

SOCRATE: Certo, tuttavia non prima di avermi detto quale dei due mestoli di cui testé parlavamo io devo rispondere essere appropriato e più bello.

 

IPPIA: Ma se vuoi, rispondigli che è quello fatto di legno di fico.

 

SOCRATE: Ora dì quello che poco fa stavi per dire. Infatti con questa risposta, se dico che il bello è l'oro, misembra che l'oro non risulterà assolutamente più bello del legno di fico; ma ora, cosa dici essere il bello?

 

IPPIA: Io te lo dirò. A me sembra che tu cerchi di trovare come risposta a cos'è il bello una cosa tale che a nessuno mai in nessun caso sembrerà brutta.

 

SOCRATE: Certo Ippia, ora tu comprendi