LA POTENZA CREATRICE DEL LINGUAGGIO

tratto dal Rivarol di Ernst Jünger



L'origine del linguaggio incita in effetti a una decisione, visto che nessuna ricerca la scandaglierà mai. Con questa grande questione ci si comporta come con la libertà del volere o l'origine della vita: esse rimangono necessariamente delle questioni controverse. Più una mente è limitata, tanto meglio ne viene a capo. Vi sono dei problemi che si pongono solo con un certo grado di intelligenza. Non vi arrechiamo mai un lume ultimo ma ci illuminiamo attraverso le nostre risposte

In questo punto Rivarol si rivela un artista, un uomo creativo, in quanto egli pone l'accento sullo spirito della lingua, l'origine spirituale, le génie de la langue. L'atto creativo è per lui al primo posto, indipendente, benché non si debba escludere uno sviluppo di suoni e segni animali grazie a convenzioni umane. Lo sviluppo resta dipendente dal tempo e dalle sue casualità: l'intuizione sta al di fuori del tempo. Questa sfera è inaccessibile alla massa dei parlanti, benché costoro vivano di essa: il poeta tuttavia vi si introduce e la lingua si avviva di nuovo. Qui Rivarol si incontro con Hamann, che definisce la poesia la madrelingua del genere umano. [...] Riguardo al progetto leibniziano di una lingua universale, Rivarol è dell'opinione che questa si limiti al bisogno mentre lo spirito della lingua prospera solo nella lingua madre, alla quale non si potrebbe rinunciare. Anche qui gli manca il tratto imperialistico. Ci si deve comportare come in un viaggio, allorché si fa il giro delle più belle lingue nazionali e ci si fonda sulla propria. Vi è un'intima armonia tra la lingua e il parlante che si può conseguire solo nella lingua madre. Le grandi lingue nazionali aspirano alla lingua universale: in questo senso essa è ideale. Nella prassi vi sono sempre state delle lingue universali: il latino come lingua dei dotti, il francese come lingua diplomatica, l'inglese nell'uso corrente. Oggi disponiamo di un apparato di espressioni tecniche che hanno diffusione mondiale e alle quali il greco ha molto contribuito. Si annuncia anche una lingua per immagini, non solo nei segnali per il traffico. Vi è un primato di segni e di simboli, che sono diventati universalmente comprensibili attraverso processi planetari [...] La poesia, al contrario, prospera solo nella madrelingua, poiché solo in essa lo spirito della lingua è a casa.

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Se l'influenza dei classici si affievolisce o diventa museale, ciò non significa ancora che la gioventù è diventata inaccessibile alla parola e al suo potere. Anche la parola non può immergersui due volte nella stessa corrente. Solo nell'inespresso, là dove è lo spirito, essa ha consistenza. In questo senso, la lingua è la salda cittadella, il nucleo vivo della riflessione e non è un caso che Rivarol le rivolgesse la sua maggiore attenzione.
Non mancano i tentativi di sminuire la lingua e di abbassarla a una specie di mezzo di trasporto. Ma essa è sopravvissuta a tempi ancora peggiori. Lo straordinario è che il tesoro che riposa in essa può essere dissotterrato dai singoli, e in maniera sostanziale. Quando il grande storico dà vita alla storia, egli ricava dal passato un'immagine significativa. Ma laddove il poeta rinnova la lingua, egli fornisce un'immagine significativa e allo stesso tempo originaria, percuote la roccia con il bastone, dallo spirito produce la vita. Dove la lingua irrigidita nel corso dei secoli diventa chiara e fluida come lava, sgorga anche la fonte in cui passato e presente sono trasparenti e indivisi.

[Jünger, Ernst, Rivarol. Massime di un conservatore, Guanda, Parma, 1992, pp. 30-32, 58]

Sullo stesso argomento, vedi anche Benedetto Croce